domenica 30 maggio 2010

Citati, I sonni di Penelope

P. Citati, La mente colorata. Ulisse e l’Odissea, Mondadori, 2002

 

Penelope dorme sempre. Quando Telemaco la rimprovera perché non comprende la poesia, torna nella sua stanza e piange il marito finché Atena le getta sulle palpebre «un dolce sonno»: quando teme per la sorte di Telema­co, insidiato dai Proci, la coglie un sonno profondo e le membra le si sciolgo­no: quando piange Ulisse, Atena la fa dormire: quando non vorrebbe scende­re tra i Proci, dorme reclinata sulla sedia; e persino mentre nel mégaron Ulisse massacra i Proci, lei sale nella sua stanza, e Atena le getta sulle palpebre l'in­canto di Ermes. Durante il sonno, la visitano grandi sogni, che le annunciano la salvezza di Telemaco o il ritorno di Ulisse o glielo presentano vicino, sul let­to, accanto o a lei. Così vive Penelope: avvolta dall'ombra, dalla morbidezza, dalla quiete e dall'incertezza dell'inconscio, come nessun altro personaggio dell'Odissea.
Per Ulisse il sonno è un'esperienza più tremenda: «simile alla mor­te», dice Omero; ciò che non viene mai detto per Penelope. Mentre gli si chiu­dono le palpebre, egli subisce l'assalto degli dèi o conosce crisi profondissime, passaggi da un tempo e da uno spazio a un altro tempo e a un altro spazio. Non sogna mai: né sogni veri né ingannevoli lo visitano.
Penelope conosce il morso dell'insonnia: acute ansie, strazi intollerabili, rimpianti. incertezze, dolori che la condizione di veglia non può sopportare. E proprio per questo esalta il sonno, il «limite», che gli dèi hanno imposto ai mortali. Quello che le invia Atena è quasi sempre dolce. Dobbiamo immagi­narlo come una sostanza liquida, che viene versata sugli occhi e sul corpo di Penelope e quindi «scioglie le membra» (come le sciolgono l'amore e la mor­te), e insieme le avvolge e lega solidamente come la più stretta delle costrizio­ni. Il sonno ha questo doppio dono di «sciogliere» e di «legare». Chi, come Pe­nelope, vi è sottoposto, dimentica le pene e la realtà dolorosa: risolve le crisi che la veglia non sa risolvere; ottiene la quiete - sebbene questa quiete anticipi la quiete definitiva della morte:
Un mite sopore mi ha avvolta, me tanto infelice. 
Oh se una morte così mite la pura Artemide
subito ora mi desse ...
Mentre Ulisse vede Atena, sia pure trasformata, Penelope non la scorge mai, né come giovine figlio di principe né come esperta artigiana. La divinità penetra in lei: scende nel sogno, e allora un fantasma le entra nella stanza, pro­venendo dal Paese dei Sogni, si ferma sul suo capo e le parla. Oppure Atena le invia consigli e ispirazioni dallo spazio divino. Tutte le decisioni principali di Penelope le vengono da Atena e dagli dèi: sia quella di preparare il sudario per Laerte, sia quella di scendere tra i Proci, sia quella di preparare la gara con l'arco. Penelope è un'ispirata, in tutto i1 corso dell'Odissea.
Questa creatura del sonno e dei sogni è anche una figlia della ragione: un'imperterrita calcolatrice e ragionatrice. Una frase l'accompagna: sia per An­tinoo sia per Atena sia per Ulisse, la mente della regina «medita altro». Che essa mediti altro di quanto dice, significa ciò che Achille pensa di suo marito: «una cosa nasconde nel cuore e un'altra ne dice». Quindi lo spirito di Penelope è sempre doppio: mentre parla, una forza segreta, che agisce dentro di lei, ra­giona, trama, macchina, calcola, inganna, esattamente come fa Ulisse.
L'Odissea dedica tre brani quasi identici al sudario - un «drappo sottile e as­sai ampio» - che Penelope tesse e disfa per Laerte: un capolavoro di artigiana­to e di inganno come il cavallo di Troia fatto costruire da Ulisse, e anch'esso ricordato tre volte. Il marito e la moglie sono simili e dissimili: si contraddico­no e si completano. Penelope sogna e Ulisse non sogna: mentre Penelope è succube degli dèi, Ulisse coincide con il proprio destino: entrambi calcolano, diffidano, ingannano, mentono, mettono alla prova. Da questo gioco intricato di somiglianze, dissimiglianze e riflessi, nasce la «concordia» profondissima tra il marito e la moglie, che Ulisse aveva esaltato parlando con Nausicaa
... non c'è bene più saldo e prezioso
di quando con pensieri concordi reggono la casa
un uomo e una donna
Chiusa nel carcere di Itaca men­tre Ulisse è chiuso nel carcere di Ogigia, Penelope desidera arden­temente il marito, con tutte le forze dello spirito e dell'eros. Ulisse le manca: lei lo ricorda di continuo, senza di lui si sente monca; soffre per lui e piange per lui, fino a quan­do Atena le versa sulle palpebre il sonno.

sabato 29 maggio 2010

Per caso mentre tu dormi

Antonio Porta, Tutte le poesie (1956-1989), a cura di Niva Lorenzini, Garzanti, 2009

Per caso mentre tu dormi
per un involontario movimento delle dita
ti faccio il solletico e tu ridi
ridi senza svegliarti
così soddisfatta del tuo corpo ridi
approvi la vita anche nel sonno
come quel giorno che mi hai detto:
lasciami dormire, devo finire un sogno

martedì 11 maggio 2010

Nancy, sonno

Jean -Luc Nancy, Cascare dal sonno, Raffaello Cortina, 2010

E' necessario poi essere addormentati. Ma il verbo riflessivo induce un'illusione. Nessuno si addormenta da sè. Il sonno viene da altrove: ci cade addosso, ci fa cadere in lui. Occorre dunque essere stati addormentati. Occorre essere stati addormentati dal sonno stesso - da quello della stanchezza o del piacere, da quello della noia - oppure a qualche via d'accesso al suo dominio. Ciò che conduce al sonno ha la forma del ritmo, della regolarità e della ripetizione. Dormire non consiste in un processo comparabile a quello del camminare, del mangiare o del pensare. (...) I dondolii ci addormentano perchè il sonno nella sua essenza è di per sè un dondolio, non uno stato stabile e immobile.
Qualunque sia la sua età, nessuno entra nel sonno senza una culla.

venerdì 7 maggio 2010

Risset, il sonno di mia madre

Jacqueline Risset, Le potenze del sonno, Nottetempo, 2010

 Qualche volta, dovevamo accompagnare alle serate dell'Associazione mia madre (...)
Mia madre ci veniva con grande piacere. Alcuni argomenti la appassionavano, altri meno. Ma si addormentava sempre. Muovendosi e lavorando fin dal primo mattino nella grande casa e nel vicino collegio, che dirigeva con energia, le sue serate erano invase, a casa o altrove, da ondate di sonno brusco, incontenibile. Quando era con noi al tavolo sparecchiato della cena, dove giocavamo o disegnavamo - mentre lei abbozzava sul suo grande quaderno i nostri ritratti - all'improvviso sulla sedia, chiudeva gli occhi; qualche volta parlava nel sonno.
Con una voce esitante da Pizia, una sera disse questa frase misteriosa: "Domani, a scuola, vi porteranno dei supporti"(...)  "Ah, sì, mamma, e per fare cosa?"  Lei, sempre con gli occhi chiusi, declamando lentamente: "Per sopportare le persone cattive".(...)
Il sonno, e perfino il sonno di adulto - ma femminile - ci riguardava, ci apparteneva: era una figura dell'infanzia