sabato 20 febbraio 2010

Antonella Anedda

Antonella Anedda, Dal balcone del corpo, Mondadori, 2008

da Per un nuovo inverno

nella morte di A.R   (Amelia Rosselli)

Se non fosse che questo: giungere a un luogo

esattamente pronunciarne il nome, essere a casa.

Felice inverno adesso che il nuovo inverno è passato

da un inizio per noi ancora senza nome

non diverso dal varco estivo di reti

forse, un cerchio debole di lumi.

Intorno, solo piante

che non avresti fatto in tempo a scansare

acqua soffiata sulle pietre - grandine

che mai sapremo se è arrivata col suono

che faceva sui tetti là nel tuo tempo

nella bianca, umana pulizia dei bagni.

Finora solo passi recisi

che forse ascolti con ardente silenzio

e aria tra gli aranci mossi piano dai vivi.

Vedi qui nulla per la prima volta si perde.

Stamattina hanno battuto la terra

fredda - colma della gioia dell'acqua

ha dimenticato per te

la sbarra della sedia, la nuca rovesciata

il vento del cortile.

Così felice notte ora che di nuovo è notte

e non è vero che il gelo resti

e abbassi piano il pensiero

forse uno scatto invece schiude qualcosa in alto

molto in alto

una nota

oltre il becco oltre gli occhi lucenti di un uccello

una scheggia di collina - quella laggiù

serrata al tetto verde-bronzo della chiesa.

Felice notte a te

per sempre priva di abisso, una steppa dell'anima-sommessa

dove l'ulivo si piega senza suono

Gerusalemme della quiete

della quiete e del tronco che cerchia e incide la morte

che la succhia nel vuoto e nel vuoto la getta

e la macera piano.

Non ho voce, né canto

ma una lingua intrecciata di paglia

una lingua di corda e sale chiuso nel pugno

e fitto in ogni fessura

nel cancello di casa che batte sul tumulo duro dell'alba

dal buio al buio

per chi resta, per chi ruota.