domenica 28 dicembre 2008

sabato 27 dicembre 2008

Buzzati, distrazione

Dino Buzzati, In quel preciso momento, Milano, Mondadori, 1950

Durante la conversazione uno di colpo si distrae, sta fermo e pensieroso, magari pochi secondi ma è quanto basta per capire che la sua verità è là, dentro quel silenzio.
Come uno che dinanzi a casa stia conversando con gli amici e a un tratto li lascia, corre dentro a vedere chissà cosa e subito dopo ritorna, col volto di prima tale e quale, e nessuno sa che cosa sia andato a fare e se qualcuno glielo domanda, lui risponde "niente", e d'altra parte non si poteva scorgere nulla attraverso la porta quando lui l'ha aperta, che cosa ci fosse dietro, non si vedeva che un rettangolo di buio.
Una immensa piazza, dunque, con intorno un'infinità di case, questa è la vita; e, in mezzo, gli uomini che trafficano fra di loro e nessuno riesce mai a conoscere le altre case; soltanto la propria e in genere male anche questa perché restano molti angoli bui e talora intere stanze che il padrone non ha la pazienza o il coraggio di esplorare. E la verità si trova soltanto nelle case e non fuori. Cosicché del restante genere umano non si sa mai niente.
L'uomo passa distratto in mezzo a questi infiniti misteri e ciò non sembra poi dispiacergli eccessivamente".

sabato 20 dicembre 2008

Leopardi, elogio degli uccelli


Giacomo Leopardi, Elogio degli uccelli, in Operette morali, Milano, Feltrinelli, 1992 (introd. Antonio Prete)


Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale.
(...) Per ogni diletto e ogni contentezza che hanno, cantano; e quanto è maggiore il diletto o la contentezza, tanto più lena e più studio pongono nel cantare. E cantando buona parte del tempo, s'inferisce che ordinariamente stanno di buona voglia e godono (... ) Imperocché si vede palesemente che al dì sereno e placido, cantano più che all'oscuro e inquieto: e nella tempesta si tacciono, come anche fanno in ciascuno altro timore che provano; e passata quella, tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri.
(...) Onde si potrebbe dire in qualche modo, che gli uccelli partecipano del privilegio che ha l'uomo di ridere: il quale non hanno gli altri animali.
(...) s'inferisce che debbono avere una grandissima forza e vivacità, e un grandissimo uso d'immaginativa. Non di quella immaginativa profonda, fervida e tempestosa, come ebbero Dante, il Tasso; la quale è funestissima dote, e principio di sollecitudini e angosce gravissime e perpetue; ma di quella ricca, varia, leggera, instabile e fanciullesca; la quale si è larghissima fonte di pensieri ameni e lieti, di errori dolci, di vari diletti e conforti; e il maggiore e più fruttuoso dono di cui la natura sia cortese ad anime vive. (...)
In fine, siccome Anacreonte desiderava potersi trasformare in ispecchio per esser mirato continuamente da quella che egli amava, o in gonnellino per coprirla, o in unguento per ungerla, o in acqua per lavarla, o in fascia, che ella se lo stringesse al seno, o in perla da portare al collo, o in calzare, che almeno ella lo premesse col piede; similmente io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita.

venerdì 28 novembre 2008

Ferroni, la condizione postuma della letteratura

Giulio Ferroni, Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura, Torino, Einaudi, 1996
Nei modi più diversi l'atto dello scrivere ha rinviato a una vita futura, a un agire e persistere "dopo", quando sarebbero per sempre venuti meno il corpo, la mano el a mente dello scriba; e all'inverso nell'atto del leggere si è riconosciuto un guardare da "dopo", un modo di riappropriarsi di tracce fisiche di realtà consumate, di sentire vivo un passato morto.
Il celebre mito del Fedro di Platone sull'invenzione della scrittura (che non a caso è stato al centro dell'acuminata e decentrante riflessione di Jacques Derrida) fa avvertire tutta la contradditorietà di questo essere "postumo" delle parole scritte, rispetto a una concezione della conoscenza e della verità come presenza, trasparenza, memoria viva e animata...

domenica 23 novembre 2008

Domenico Gnoli, Mise en plis


Domenico Gnoli (Roma 3/5/1933, New York 1969)

Mise en plis, 1964
Tempera e sabbia su tela, 125x125, Collezione Gori

sabato 15 novembre 2008

Pizzuto, Erice

Antonio Pizzuto, Testamento, Il Saggiatore, 1969


Erice, odoranti di salvia i suoi paradisi, ingiù dallo scosceso il mare cresputo immobile, terse come stoviglie le strade spirali ingressi e imposte chiusi, laddentro cortili dove minuscole lune l’acqua nei profondissimi pozzi in echi, ben scarsa entro cisterna simmetrica, framezzo qualche albero, mura mura convolvoli, secondari usci su candida viuzza tra verdi persiane opposti a quelli maestri. Pendevano da imbiancato soffitto a travi, per famiglie, grappoli mori nilo aurei impergolando, in capestro oblunghi formaggi, api buridane intorno, moscerini pulviscolosi.

sabato 1 novembre 2008

Tiziana Verde, Il cesto di pomodori

Tiziana Verde, Il cesto di pomodori

(...)
Nei giorni in cui la tramontana soffiava forte da far volare le tegole, incontrandoci per strada, il prof. Armano ci faceva salire sulla cinquecento azzurra e ci accompagnava fino a scuola.
Prima di entrare, andavamo insieme a guardare un tratto di campagna abbandonata. Il vento faceva i colori nitidi, più concatenati, quasi mostrassero all’improvviso la grana di cui era tessuto il celeste dell’aria.
Restavamo lì a tremare, non di freddo soltanto, ma di una commozione che sempre ci prendeva quando osservavamo qualcosa insieme a lui e ne avevamo, all’improvviso, rivelazione di bellezza. Ci assaliva allora rimpianto di non averla guardata mai con attenzione e gratitudine per quegli occhi nuovi, che lui ci piantava dentro con poche accorte parole, con l’intesa di un silenzio.
(...)
Due giorni dopo, era in cortile, un uomo gli ordinò di seguirlo. Ebbe il tempo di vedere sua madre che arrivava dalla strada di fronte a portargli i pomodori raccolti. La sentì tremare nei panni scuri, col cesto troppo pesante…Allora lei capì che non voleva essere visto mentre andava a morire, così fingendo di non aver indovinato, disse: - Te ne lascio anche per questo tuo amico -
L’uomo aveva già eseguito altri incarichi senza esitazioni e senza mai commuoversi, ma anche a sua madre, forse un giorno, sarebbe capitato di dover recitare la stessa scena. Così, lentamente, scelse un pomodoro a forma di cuore e disse:
- Sono belli, vi ringrazio - lo disse abbassando la voce, con rispetto, perché in quei nostri paesi potevi calpestare tutto, ma certe cose erano sacrosante e una madre è una madre, annulla qualsiasi differenza.
Per un attimo, davanti a quella immagine, si rividero entrambi ragazzi, poi l’uccisore si ricordò perché era lì e disse: - Andiamo -.
Il professor Armano guardò la figurina dentro i panni neri, svuotati, pronunciò un - torno stasera - e si avviò.
Per gli anni che le rimasero da vivere, lei continuò a passare il crepuscolo affacciata alla finestra con la folle speranza che una crepa del tempo o un Dio meno sordo, con più senso della vergogna, potesse far mantenere a suo figlio la promessa.
(...)
Stanotte, il prof. Armano è venuto a trovarmi, portava la giacca sciupata di sempre, i capelli appena un po’ più grigi
- Non vuoi sapere perché è successo? -
- No - mi sono affrettata a rispondergli - ci sono già stati troppi giorni riempiti di fatti e io, invece, volevo raccontare una storia -
- E dove sta la differenza? -
- Nei chiaroscuri - dico - le storie, l’ombra non la cancellano -
(...)

Leggi il bellissimo racconto nella sua interezza in
http://www.nazioneindiana.com/2006/10/28/il-cesto-di-pomodori/

Su e di Tiziana Verde:
http://www.nazioneindiana.com/tag/tiziana-verde/

www.nobis.it

giovedì 16 ottobre 2008

D'Arzo - Celati

Gianni Celati, D'Arzo, lo stile di chi è straniero dovunque.

"Il mondo non è casa tua, e a te sembra di starci a dozzina"

IL TESTO
(Da Zibaldoni, n.3, quarta serie)

Hrabal, Una solitudine ...

Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa, Torino, Einaudi, 1991

Già siedo in casa nella penombra, siedo su uno sgabello, la testa mi cade e alla fine tocco me stesso con le labbra bagnate e solo così schiaccio un pisolino. A volte, nella posizione della sedia Thonet, dormo così fin verso la mezzanotte e quando mi sveglio sollevo la testa e ho la gamba dei pantaloni madida di saliva al ginocchio, tanto mi sono raggomitolato e ranniccchiato su me stesso, come un gattino d'inverno, come il legno di una sedia a dondolo, perchè io mi posso permettere quel lusso di essere abbandonato, anche se io abbandonato non sono mai, io sono soltanto solo per poter vivere in una solitudine popolata di pensieri, perchè io sono un po' uno spaccone dell'infinito e dell'eternità e l' Infinito e l'Eternità forse hanno un debole per le persone come me.
(...)
Seduto sulla panchina, sorridevo candidamente, non ricordavo nulla, non vedevo nulla, non udivo nulla, perchè ormai ero forse già nel cuore del Paradiso terrestre.

giovedì 2 ottobre 2008

Sylvia Plath, Limite (Edge)

Limite

La donna ora è perfetta.
Il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza,
l’illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s’irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,
non ha motivo di essere triste.
È abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.

(5 febbraio 1963)

Edge

The woman is perfected.
Her dead
Body wears the smile of accomplishment,
The illusion of a Greek necessity
Flows in the scrolls of her toga,
Her bare
Feet seem to be saying:
We have come so far, it is over.
Each dead child coiled, a white serpent,
One at each little
Pitcher of milk, now empty.
She has folded
Them back into her body as petals
Of a rose close when the garden
Stiffens and odors bleed
From the sweet, deep throats of the night flower.
The moon has nothing to be sad about,
Staring from her hood of bone.
She is used to this sort of thing.
Her blacks crackle and drag.

martedì 30 settembre 2008

Jelloun, Mia madre, la mia bambina

Tahar Ben Jelloun, Mia madre, la mia bambina, Torino, Einaudi, 2006, trad. M. Botto

Da quando è malata, mia madre è diventata una cosetta dalla memoria vacillante, Convoca i familiari morti da tempo. Parla con loro, si stupisce che sua madre non venga a trovarla, tesse le lodi del fratello minore che, dice lei, le porta sempre dei regali. (...)
Mia madre rivisita la propria infanzia. La sua memoria si è rovesciata, si è sparsa sul terreno umido. Il tempo e la realtà non si intendono più.

"Non sono pazza, sono solo stanca".

domenica 28 settembre 2008

Ginzburg Miti, emblemi, spie

Carlo Ginzburg, Miti, emblemi, spie, Torino, Einaudi, 1986

Spie

Dio è nel particolare. A. Warburg

Un oggetto che parla della perdita, della distruzione, della sparizione di oggetti. Non parla di sè. Parla di altri. Includerà anche loro?
J. Johns

In queste pagine cercherò di mostrare come, verso la fine dell'800, sia emerso silenziosamente nell'ambito delle scienze umane un modello epistemologico (se si preferisce, un paradigma) al quale non si è prestata finora sufficiente attenzione.
... (Morelli, Freud, Conan Doyle) In tutti e tre i casi s'intravvede il modello della semeiotica medica: la disciplina che consente di diagnosticare le malattie inaccessibili all'osservazione diretta sulla base di sintomi superficiali, talvolta irrilevanti.
... La letteratura aforistica è per definizione un tentativo di formulare giudizi sull'uomo e sulla società sulla base di sintomi, di indizi. Un uomo e una società malati, in crisi.

domenica 21 settembre 2008

Sereni, Diario bolognese
















Vittorio Sereni, Frammenti di una sconfitta- Diario bolognese,
Milano, Scheiwiller,
1957

Io non so come sempre

un disperato murmure m’opprima

nell’aria del tuo mezzogiorno

tanto diffusa ai colli dentro il sole

tanto quaggiù gremita e fumicosa.

E non è fiore in te che non m’esprima

il male che presto lo morde,

non per finestra musica s’inoltra

che amara non ricada sull’estate.

Invano sotto San Luca ogni strada

voluttuosa rallenta, alla tua gioia

sono cieco ed inerme.

E l’ombra dorata trabocca nel rogo serale,

l’amore sui volti s’imbestia,

fugge oltre i borghi il tempo irreparabile

della nostra viltà.





mercoledì 10 settembre 2008

Sontag. La coscienza delle parole

Susan Sontag, Nello stesso tempo: la coscienza delle parole, Mondadori Milano 2008, trad. D. Rieff

In quanto scrittrice, creatrice di letteratura, narro e rifletto al tempo stesso. Le idee mi commuovono. Ma i romanzi sono fatti di forme, non di idee. Forme del linguaggio. Forme d’espressione. Non ho in testa una storia fino a quando non ne conosco la forma. (Come sosteneva Vladimir Nabokov, “il disegno della cosa precede la cosa”). E – in modo implicito o sottinteso – i romanzi nascono dall’idea che uno scrittore ha di ciò che la letteratura è o può diventare.
(...)
Perciò la letteratura – e parlo in termini prescrittivi, non solo descrittivi – è consapevolezza, dubbio, scrupolo, meticolosità. Ma è anche – ancora una volta in senso sia prescrittivo che descrittivo – canto, spontaneità, celebrazione, beatitudine.
(...)
Sono dell’idea che ogni singola visione della letteratura sia falsa – e cioè, riduttiva, puramente polemica. Laddove parlare con sincerità di letteratura vuol dire necessariamente parlare per paradossi.

Perciò, se ogni opera letteraria che conta, che merita di essere definita tale, incarna un ideale di singolarità, di voce individuale, la letteratura, che è accumulazione, incarna invece un ideale di pluralità, di molteplicità, di promiscuità.

Ogni possibile idea di letteratura – letteratura come impegno sociale, come ricerca di private intensità spirituali, letteratura nazionale o universale – è, o può diventare, una forma di autocompiacimento spirituale, di vanità, o di autogratificazione.

La letteratura è un sistema – un sistema plurale – di metri di giudizio, ambizioni, lealtà. La sua funzione etica sta almeno in parte nella capacità di insegnare il valore della diversità.

Certo, la letteratura deve operare all’interno di determinati confini. (Come ogni altra attività umana. Solo la morte ne è priva). Il problema è che i confini che la maggior parte della gente desidera tracciare soffocherebbero la libertà della letteratura di essere quel che può essere, in tutta la sua inventiva e capacità di turbamento.

***
Vedi l'articolo di Nadia Fusini su Susan Sontag - potente e commovente:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/04/10/la-voce.html

giovedì 4 settembre 2008

Un poeta umoristico: Ernesto Ragazzoni

I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER
(Da W. M. Thackeray)

Il giovane Werther amava Carlotta
e già della cosa fu grande sussurro.
Sapete in che modo si prese la cotta?
La vide una volta spartir pane e burro.

Ma aveva marito Carlotta, ed in fondo
un uomo era Werther dabbene e corretto;
e mai non avrebbe (per quanto c'è al mondo),
voluto a Carlotta mancar di rispetto.

Così, maledisse la porca sua stella;
strillò che bersaglio di guai era, e centro;
e un giorno si fece saltar le cervella,
con tutte le storie che c'erano dentro.

Lo vide Carlotta che caldo era ancora,
si terse una stilla dal bell'occhio azzurro;
e poi, vòlta a casa (da brava signora),
riprese a spalmare sul pane il suo burro.

Parole contro le parole

Oggi, non voglio far della poesia,

non voglio stare chiuso contro un tavolo.

Voglio prender la porta, andare via

andarmene, se càpita, anche al diavolo!

In un giorno di ciel, d'aria e di sole

posso seduto, fabbricar parole?



Io, come il vecchio Amleto, sono stufo

di parole, parole, ancor parole!

Fra tanti pappagalli, sono un gufo

e disdegno le chiacchiere e le fole.

Se si parlasse meno, quanto il mondo

piú felice sarebbe, e piú fecondo!



Abbasso i versi e chi li legge e scrive!

Primavera s'annuncia, e vo pei campi

a veder in che modo si rivive

senza bisogno alcun che se ne stampi,

o ne filosofeggino due o tre

sui sedili dei tram, e nei caffè!



Senza soccorso di poeti e sofi

le siepi vanno rimettendo il verde!

Su per le aiuole crescono i carciofi,

e l'asparago inver nulla ci perde

se vien fuori, a dispetto della critica,

senza affatto occuparsi di politica.



E cosí fa la mammola, e fa l'erba,

il pero, il melo, il mandorlo, il ciliegio

che una veste di fiori hanno, e superba,

e daran frutto, senza ciarle, egregio.

Se facessimo un poco come loro:

chiacchiere niente, e alquanto piú lavoro?

E. Ragazzoni,
Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose, Einaudi, Torino 2000

martedì 2 settembre 2008

Beppe Sebaste: Oggetti smarriti

Sono seduto al bar con l’amico regista Giuseppe Bertolucci, e parliamo di “oggetti smarriti”, anzi, oggetti “trovati”. Gli descrivo lo storico e ormai secolare “Bureau des objet trouvés” a Parigi, al 36 di rue des Morillons, nel XV° arrondissement, impressionante e pittoresco museo della sbadataggine. Alla fine degli anni ’90 tra gli oggetti in giacenza si trovavano anche un’urna funeraria con tanto di ceneri del defunto trovata nel metrò, un teschio umano, statue di Gesù, e perfino un serpente scappato da uno zoo. (...)
Se si considera il numero impressionante di carte d’identità che vengono perdute e ritrovate, e giacciono nei depositi degli oggetti rinvenuti, nei lost & found italiani, ci si rende conto del desiderio di fuga, evasione o cambiamento della popolazione.
L’ufficio “oggetti smarriti” si chiama “degli oggetti rinvenuti”, ma continuo a pensare che la formula più appropriata dovrebbe essere quella che, in francese, definisce il vecchio “fermoposta” - quel servizio, oggi in via di estinzione, che permette di ricevere lettere negli uffici postali di ogni città -: cioè poste en souffrance, posta che “soffre” la mancanza del proprio destinatario, lettere in giacenza, smarrite e inutili come personaggi in cerca d’autore su un pirandelliano, burocratico scaffale; e che forse, come in Kafka, sono lette e assimilate solo dai fantasmi. (...)

Beppe Sebaste
http://beppesebaste.blogspot.com/

http://www.beppesebaste.com/

vedi ora il suo nuovo libro "Oggetti smarriti" ed. Laterza

 Ascoltalo nel sito RSI    (rubrica "In altre parole")




sabato 30 agosto 2008

Scafuro: pennino da caffè


Vedi anche le forchette-albero e tutti gli altri utensili "viventi" nel sito dello scultore Giovanni Scafuro
http://www.giovanniscafuro.it/ALBERI.htm

Biblioteche

National Library di Dublino


Mr. Bloom arrivò a Kildare street. Prima devo. Biblioteca.
Cappello di paglia al sole. Scarpe gialle. Pantaloni col risvolto. E'. E'.
Il cuore accelerava piano i battiti. A destra. Museo. Deè. Virò a destra.

James Joyce, Ulisse, Milano, Mondadori, 1978, trad. G. Melchiori, cap 9, Scilla e Cariddi - La biblioteca.

venerdì 22 agosto 2008

Pessoa, Isole

Le isole fortunate

Quale voce viene dal suono delle onde

Che non è la voce del mare?

E’ la voce di qualcuno che ci parla

Ma che, se ascoltiamo, tace,

proprio per esserci messi ad ascoltare.

E solo se, mezzo addormentati,

udiamo senza sapere che udiamo,

essa ci parla della speranza

verso la quale, come un bambino

che dorme, dormendo sorridiamo.


Fernando Pessoa, Poesie scelte, Passigli 2006

mercoledì 20 agosto 2008

Yeats, un dublinese

William Butler Yeats, Poesie, Torino, Einaudi 1963, trad. G. Melchiori

That is no country for old men

Quello non è un paese per vecchi. I giovani
L'uno nelle braccia dell’altro, gli uccelli sugli alberi
- Quelle generazioni mortali – intenti al loro canto,
Le cascate ricche di salmoni, i mari gremiti di sgombri,
Pesce, carne, o volatile, per tutta l’estate non fanno che esaltare
Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Presi da quella musica sensuale tutti trascurano
I monumenti dell’intelletto che non invecchia.

II.
Un uomo anziano non è che una cosa miserabile,
Una giacca stracciata su un bastone, a meno che
L’anima non batta le mani e canti, e canti più forte
Per ogni strappo nel suo abito mortale,
Né v’è altra scuola di canto se non lo studio
Dei monumenti della sua magnificenza
E per questo io ho veleggiato sui mari e sono giunto
Alla sacra città di Bisanzio.

III.
O saggi che state nel fuoco sacro di Dio
Come nel mosaico dorato di una parete,
Scendete dal sacro fuoco, discendete in una spirale,
E siate i maestri di canto della mia anima.
Consumate del tutto il mio cuore; malato di desiderio
E legato a un animale mortale,
Non sa quello che è; e accoglietemi
Nell’artificio dell’eternità.

IV.
Una volta fuori dalla natura non assumerò mai più
La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale,
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di sfoglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, o che , o che sarà.



lunedì 4 agosto 2008

Tondelli, Biglietto all'amico

Pier Vittorio Tondelli, Biglietti agli amici, Milano, Bompiani, 2001

OTTAVA ORA DELLA NOTTE

Biglietto numero otto

Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quest'abbraccio e non chiedere altro perchè la sua vita è solo sua e per quanto tu voglia, per quanto ti faccia impazzire non gliela cambierai in tuo favore. Fidarsi del suo abbraccio, della sua pelle contro la tua, questo ti deve essere sufficiente, lo vedrai andare via tante altre volte e poi una volta sarà l'ultima, ma tu dici, stasera, adesso, non è già l'ultima volta? Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quando ti cerca in mezzo alla folla, fidarsi del suo addio, avere più fiducia nel tuo amore che non gli cambierà la vita, ma che non dannerà la tua perchè se tu lo ami, e se soffri e se vai fuori di testa questi sono problemi solo tuoi; fidarsi dei suoi baci, della sua pelle quando sta con la tua pelle, l'amore è niente di più, sei tu che confondi l'amore con la vita.

Divieti...


Apuleio, L'asino d'oro, La favola di Amore e Psiche

Libro sesto
XIX (...) "Ma soprattutto ti raccomando una cosa: non aprire la scatola che porterai con te, non guardare dentro, non essere curiosa, non curarti di quel tesoro di divina bellezza che essa nasconde" (Sed inter omnia hoc observandum praecipue tibi censeo, ne velis aperire vel inspicere illam quam feres pyxidem vel omnino diuinae formonsitatis abditum curiosius thesaurum."

XX Così quella torre provvidenziale assolse il suo profetico incarico e Psiche non indugiò, raggiunse il promontorio del Tenaro, prese con sé le monete e le ciambelle secondo le istruzioni ricevute, discese lungo la strada infernale, oltrepassò senza dir parola l’asinaio zoppo, diede al nocchiero la moneta per il traghetto, fu sorda al desiderio del morto che galleggiava, non si curò delle insidiose preghiere delle tessitrici, placò con la ciambella la rabbia spaventosa del cane e, infine, giunse alla dimora di Proserpina. Qui rifiutò il morbido sedile e il cibo squisito che l’ospite le offerse ma sedette umilmente ai suoi piedi si contentò di un pane scuro, poi riferì l’ambasciata di Venere. E senza indugio prese la scatola, in gran segreto riempita e sigillata, fece tacere le bocche latranti del cane con l’inganno della seconda ciambella, consegnò al nocchiero la moneta che le era rimasta e risalì dall’inferno con passo assai più leggero.
Ma dopo aver rivista e adorata questa candida luce, benché avesse fretta di portare a buon fine il suo mandato, fu assalita da un’imprudente curiosità: "Sono proprio una sciocca" si disse - "porto con me la divina bellezza e non ne prendo nemmeno un pocolino, non foss’altro per piacere di più al mio bellissimo amante" e, detto fatto, aprì la scatola.
( "Ecce" inquit" inepta ego divinae formonsitatis gerula, quae nec tantillum quidem indidem mihi delibo vel sic ili amatori meo formonso placitura")

XXI "Ma dentro non v’era nulla, nessuna bellezza, ma solo del sonno, un letargo di morte che s’impadronì di lei non appena ella sollevò il coperchio e che si diffuse per tutte le sue membra in una pesante nebbia di sopore facendola cadere addormentata proprio dove si trovava, là sul sentiero.
E Psiche giacque immobile nel suo sonno profondo, come morta. (Et iacebat immobilis et nihil aliud quam dormiens cadaver.)

(Il quadro è di Angelika Kauffmann, 1792)

lunedì 28 luglio 2008

Carlo Levi, Le mosche

Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, Torino, Einaudi, (1945) 2007

L'estate splendeva nel suo ardore funesto: il sole pareva fermarsi in mezzo al cielo, le argille si spaccavano per l'arsura. Nelle fessure della terra assetata si annidavano le serpi, le vipere corte e tozze di qui, che i contadini chiamano cortopassi, dal veleno mortale. "cortopassi, cortopassi, ove te trova, là te lassi": Un vento continuo faceva asciugare anche i corpi delgi uomini; le giornate passavano in una luce senza pietà, monotone nell'attesa del tramonto e del fresco della sera. Stavo seduto nella cucina, e contemplavo il volo delle mosche, unico segno di vita nell'immobile silenzio della canicola. Le imposte di legno, tinte di azzurro verdastro, ne erano coperte: migliaia di punti neri, fermi nel sole, vagamente sussurranti, su cui l'occhio si fissava, oziosamente incantato. (...) Il grande silenzio della campagna pesava nella cucina, e il mormorio continuato delle mosche segnava il passare delle ore, come la musica senza fine del tempo vuoto.

venerdì 25 luglio 2008

Quarenghi, E sulle case il cielo


Giusi Quarenghi, E sulle case il cielo, illustrazioni di Chiara Carrer, Milano, Topipittori, 2007

(a Michele, a Giovanni, alle infanzie di cui sono testimone)

Ho l'estate tra le mani
un'anguria a fette larghe

Ho l'estate nelle gambe
sfido il vento e corro via

Ho l'estate sotto i piedi
è sdraiata dappertutto

Ho l'estate nella testa
sogni lunghi e sere chiare

Ho l'estate nella gola
ha sapore di gelato

www.topipittori.com

martedì 22 luglio 2008

Mandel'stam, Secolo mio

Secolo mio, mia belva, chi saprà
fissare lo sguardo nelle tue pupille,
chi incollerà con il proprio sangue
le vertebre di due secoli?
Sangue costruttore sgorga
dalla gola di cose terrene
e solo il parassita sta in ansia
sul limitare di nuovi giorni.

(...)
Tenera cartilagine di bimbo
è il secolo infantile della terra:
hanno immolato ancora una volta
come una agnello il cranio della vita.

Per strappare il secolo dalla prigionia,
per dare inizio a un nuovo mondo
bisogna intrecciare a guisa di flauto
le ginocchia dai giorni nodosi.
Osip Mandel'stam

Citato in:
Ezio Raimondi, Novecento e dopo, Roma, Carocci 2003
Giorgio Agamben, Che cos'è il contemporaneo?, Roma, Nottetempo, 2008

lunedì 14 luglio 2008

Appunti per una definizione di lettore ideale


Alberto Manguel, Al tavolo del Cappellaio Matto, Milano, Archinto, 2008

Il lettore ideale è lo scrittore appena prima che le parole prendano forma sulla pagina.
Il lettore ideale non segue una storia: vi prende parte.
Il lettore ideale è un lettore cumulativo: ogni volta che legge un libro aggiunge un nuovo strato di memoria alla narrazione.
Robinson Crusoe non è un lettore ideale. Legge la Bibbia per trovarvi risposte. Il lettore ideale legge per trovare domande.
Scrivere sui margini è segno distintivo del lettore ideale.
Il lettore ideale sa quel che lo scrittore intuisce soltanto.
Il lettore ideale non sa di essere il lettore ideale finchè non raggiunge la fine del libro.
Pinochet, che bandì il Don Chisciotte perchè riteneva che incoraggiasse la disobbedienza civile, ne era il lettore ideale.

martedì 24 giugno 2008

Nafisi, Leggere Lolita a Teheran

Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Milano, Adelphi, 2008

"A chi raccontiamo ciò che è accaduto
sulla terra, per chi sistemiamo ovunque
specchi enormi, nella speranza che riflettano
qualcosa e non svanisca? " (C. Milosz)

Quel primo giorno domandai ai mei studenti quale ritenevano fosse il compito della narrativa: in altre parole perchè avremmo dovuto scomodarci a leggerla.
Era un esordio insolito, ma catturò l'attenzione. (...) Scrissi alla lavagna una delle mie citazioni di Adorno preferite: "la più alta forma di moralità è sentirsi degli estranei in casa propria". Spiegai che spesso le grandi opere di fantasia servivano proprio a questo, a farci sentire estranei in casa nostra. La migliore letteratura ci costringe sempre a interrogarci su ciò che tenderemmo a dare per scontato, e mette in discussione tradizioni e credenze che sembravano incrollabili. Invitai i miei studenti a leggere i testi che avrei loro assegnato soffermandosi sempre a riflettere sul modo in cui li scombussolavano, li turbavano, li costringevano a guardare il mondo, come Alice nel paese delle meraviglie, con occhi diversi. (...) "Un romanzo non è un'allegoria" dissi verso la fine della lezione. "E' l'esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai a identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. E' così che si legge un romanzo, come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo. E' tutto. Potete andare".



lunedì 16 giugno 2008

Kafka, kavka

http://www.mcescher.com/

Eugenio Montale, Verboten, Diario del '72, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1990

Dicono che nella grammatica di Kafka
manca il futuro. Questa la scoperta
di chi serbò l'incognito e con buone ragioni.
Certo costui teme le conseguenze
flagranti o addirittura conflagranti
del suo colpo di genio. E Kafka stesso,
la sinistra cornacchia, andrebbe al rogo
nell'effigie e nelle opere, d'altronde
largamente invendute.



sabato 7 giugno 2008

Ties- legàmi





Lewis Carroll,
Through the looking glass, 1871


"What a beautiful belt you've got on!"

Alice suddenly remarked. (They had had quite enough of the subject of age, she thought: and, if they really were to take turns in choosing subjects, it was her turn now.)
"At least," she corrected herself on second thoughts, "a beautiful cravat, I should have said -- no, a belt, I mean -- I beg your pardon!" she added in dismay, for Humpty Dumpty looked thoroughly offended, and she began to wish she hadn't chosen that subject.
"If only I knew," she thought to herself, "which was neck and which was waist!"

Evidently Humpty Dumpty was very angry, though he said nothing for a minute or two. When he did speak again, it was in a deep growl.
"It is a -- most -- provoking -- thing," he said at last, "when a person doesn't know a cravat from a belt!"

"I know it's very ignorant of me," Alice said, in so humble a tone that Humpty Dumpty relented.

"It's a cravat, child, and a beautiful one, as you say. It's a present from the White King and Queen. There now!"

"Is it really?" said Alice, quite pleased to find that she had chosen a good subject after all.

"They gave it me," Humpty Dumpty continued thoughtfully as he crossed one knee over the other and clasped his hands round it, "they gave it me -- for an un-birthday present."

lunedì 2 giugno 2008

Lispector: lo splendore del linguaggio

Clarice Lispector, La passione secondo G. H., Milano, Feltrinelli, 1969

Io ho, a mano a mano che designo - ecco lo splendore di avere un linguaggio. Ma ho assai più, a mano a mano che non riesco a designare. La realtà è la materia prima, il linguaggio è il modo in cui ne vado alla ricerca - e in cui non la trovo. Eppure è proprio dal cercare e non trovare che nasce la cosa che non conoscevo, e che all'istante riconosco. Il linguaggio è il mio sforzo umano. Per destino devo andare a cercare e per destino torno a mani vuote. Però- ritorno con l'indicibile. L'indicibile mi potrà essere dato solo attraverso il fallimento del mio linguaggio. E solo quando la costruzione si incrina io ottengo ciò che questa non è riuscita a ottenere. (...) L'insistenza è il nostro sforzo, la rinuncia è il premio. A questo si arriva solamente dopo aver sperimentato il potere di costruire, e nonostante l'aroma del potere, si preferisce la rinuncia. La rinuncia deve essere una scelta. Desistere è la scelta più sacra di una vita. Desistere è l'autentico istante umano. (...) La rinuncia è una rivelazione.



martedì 27 maggio 2008

giovedì 22 maggio 2008

Testori - un altro giorno

Da me la sola passione
puoi imparare.
Dal mondo impara
tutto l'arco del sole
e lo splendore,
la grandezza dei gesti
in che consiste crescere,
finire.
Impara dalle madri
il silenzio provvido.
Gentile,
dalle tombe la morte,
e dal morire d'ogni giorno
l'esame impara a svolgere.
Medita quando l'ombra
ti cade d'ogni sera
sulla fronte:
è passato, mio amore,
un altro giorno.

Giovanni Testori, da Per sempre, 1970.

giovedì 8 maggio 2008

Poesia dorsale

(Poesie i cui versi sono formati da titoli di libri-

meglio se libri amati)

www.poesiadorsale.it


Lentamente nell’ombra

guardare ascoltando

figure.

Intrecci di voci.

Amore lontano.

Nessuna passione spenta.

I fili del tempo,

pensieri del tè.

****************************

Stanze,

soglie

sulla parola,

Abitazioni immaginarie,

Strada a senso unico.

Crolli

sotto i tigli,

cattivi pensieri.

La verità della poesia

prima della morte.

Come un talismano.

martedì 15 aprile 2008

Camus, Il mito di Sisifo


Albert Camus, Il mito di Sisifo, Milano, Bompiani, 1997

Gli dei avevano condannato Sisifo a far rotolare senza posa un macigno sino alla cima di una montagna, dalla quale la pietra ricadeva per azione del suo stesso peso. Essi avevano pensato, con una certa ragione, che non esiste punizione più terribile del lavoro inutile e senza speranza.

Se questo mito è tragico, è perchè il suo eroe è cosciente. In che consisterebbe, infatti, la pena, se, ad ogni passo, fosse sostenuto dalla speranza di riuscire?

Sisifo, proletario degli dei, impotente e ribelle, conosce tutta l'estensione della sua miserevole condizone; è a questa che pensa durante la discesa.

In questo sottile momento in cui l'uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. Così, persuaso dell'origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora.


venerdì 4 aprile 2008

Leopardi, Zibaldone

Il cantare che facciamo quando abbiamo paura non è per farci compagnia da noi stessi come comunemente si dice, nè per distrarci puramente, ma per mostrare di dare a intendere a noi stessi di non temere. La quale osservazione potrebbe forse applicarsi a molte cose, e dare origine a parecchi pensieri. E già è manifesto che all’aspetto del male noi cerchiamo d’ingannarci e di credere che non sia tale, o minore che non è, e però cerchiamo chi se ne mostri o ne sia persuaso, e per ultimo grado, per persuaderlo a noi stessi, fingiamo d’esserne già persuasi, operando e discorrendo tra noi come tali. E questo è quello che accade nel caso detto di sopra. [Zibaldone : 43]

Non v’è memoria senza attenzione. [...] Ma vi sono due specie di attenzioni. Una volontaria, ed una involontaria; o piuttosto una spirituale, un’altra materiale. Della prima non si diventa capaci se non coll’assuefazione (e quindi facoltà) di attendere. E perciò gli uomini riflessivi e generalmente gl’ingegni o grandi, o applicati, hanno ordinariamente buona memoria, e si distinguono assai dal comune degli uomini nella facoltà di ricordarsi anche delle minuzie, perchè sono assuefatti ad attendere. Della seconda specie sono quelle attenzioni che derivano da forza e vivacità delle sensazioni, le quali colla loro impressione costringono l’anima ad un’attenzione in certo modo materiale. [Zibaldone : 1733-1734]

Della lettura di un pezzo di vera contemporanea poesia, in versi o prosa (ma più efficace impressione è quella de’ versi), si può, e forse meglio, (anche in questi sì prosaici tempi) dir quello che di un sorriso diceva lo Sterne; che essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita; e ci accresce la vitalità. Ma rarissimi sono oggi i pezzi di questa sorta. (1 Febbraio 1829).

domenica 23 marzo 2008

Gozzano, La differenza

Guido Gozzano, Opere, Torino, Utet 2006


La differenza

Penso e ripenso: - Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.

Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.

- O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'è pensato.

Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.

giovedì 6 marzo 2008

Juan Gelman

Juan Gelman, Nel rovescio del mondo, Novara, Interlinea, 2003


Nobiltà

La poesia è pallida e nobile.
Non cambia niente, non incurva colline, non
dà un solo frutto rosso, non
fa il rumore di chi strappa
un pezzo di pane per offrire
un pezzo di pane.
Si rannicchia in un angolo e
non si lamenta.
Vive in tutto ciò che si innalza
all'aria e al nascere.
Non chiede nemmeno una visita.
Le basta quel che non è successo.

Lettera a mia madre
(...)

passai da te allo splendore del giorno/da me tu passi
alla profonda notte/con gli occhi distolti perchè ormai
più nulla restava da vedere/se non quel fine rumore che
disfa ciò che ti feci soffrire/adesso che stai
quieta
(...)

domenica 24 febbraio 2008

Queneau I fiori blu

Raymond Queneau, Les fleurs bleues, 1965, I fiori blu, Torino, Einaudi, 1967, trad. I. Calvino.

Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d'Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara.
(...)
-Ah, mio buon Demò - disse il Duca D'Auge con voce lamentosa - quanta tristezza, quanta malinconia m'opprimono!
-Sempre la storia? - domandò Sten.
-Non c'è gaudio che in me lei non dissecchi, - rispose il Duca.
-Coraggio! Vossignoria si metta in sella, e andiamo a spasso!
-La mia intenzione era ben questa, e altra ancora.
-Qual mai?
-Andar via per qualche giorno.
- Così sì che mi piace! Dove vuole che la porti, signoria?
-Lontano! Qui il fango è fatto dei nostri fiori.
-...dei nostri fiori blu, lo so.
(...)
Fu allora che si mise a piovere. Piovve per giorni e giorni. C'era tanta nebbia che non si poteva sapere se la chiatta andava avanti o indietro o se restava ferma. Finì per arenarsi in cima ad una torre. I passeggeri sbarcarono, Sten e Stef con qualche sforzo; s'erano ridotti magri e fiacchi da non poterne più, poverini. All'indomani le acque si erano ritirate nei letti e ricettacoli consueti e il sole era già alto sull'orizzonte, quando il Duca si svegliò. Si avvicinò ai merli per considerare la situazione storica. Uno strato di fango ricopriva ancora la terra, ma qua e là piccoli fiori blu stavano già sbocciando.

Sta' attento con le storie inventate. Rivelano cosa c'è sotto.
Tal quale come i sogni.


Le copertine dei libri di Queneau in Tecalibri

martedì 12 febbraio 2008

Maria Zambrano, Dalla mia notte oscura

Maria Zambrano, Dalla mia notte oscura, Lettere tra Maria Zambrano e Reyna Rivas (1960-1989), Moretti e Vitali, Bergamo, 2008

Madrid, 28 Nov 1989

Cara Reyna,
anche se credo che tu non ne abbia bisogno, desidero inviarti queste righe come un pegno di amore per il tuo pensiero, per la tua opera, per tutto ciò che porta il tuo nome; tuttavia, pensa alla differenza di età e di vita tra noi due, pensa alla mia vita tormentata; oggi vorrei confessarti una cosa: il giorno che sei venuta a trovarmi in Italia è stato per me come ricevere una brocca d'acqua trasparente, nè dolce nè amara. Credo che la tua vita sia stata questo, mentre per me è stato tutto l'opposto, il contrario: l'amaro, il salino e persino il vuoto.
Considera queste righe come un'introduzione al nostro epistolario. Come vedi ormai mi è stato sottratto tutto: la vista, l'udito, la musica. Mi hanno lasciata sola con l'amore.

Maria

venerdì 8 febbraio 2008

Emanuele Trevi, Senza verso

Emanuele Trevi, Senza verso. Un'estate a Roma, Bari, Laterza, 2005

Ascoltavo per qualche minuto il rumore di quell'acqua sotterranea, iniziavo a risalire su, verso il calore e la luce infernale della città- il dorso della balena.

Il sole salì nel mezzo del cielo e cominciò a vibrare come una mosca, spossata dal caldo (Isaak Babel')
(...)
Come trascorre, in effetti, una vita? Con la sua tendenza all'astrazione e alla selezione, proprio il genere di scrittura che dovrebbe renderne conto con più attenzione e competenza, la biografia, finisce sempre per censurare la caratteristica essenziale della maggior parte delle vite, che è la loro scoraggiante e uniforme mancanza di eventi. Mentre il mondo andava e veniva all'altezza del pavimento, gli anni del mio amico trascorrevano nella sua immaginaria impalcatura in un 'impresa ostinata, complessa, laboriosa, di cui solo pochi intimi erano tenuti al corrente nel corso di lunghe telefonate serali.
(...)
La maggior parte delle cose, dei fatti, dei pensieri vive nella latenza. Senza distinzione tra ciò che è in effetti utile, o dannoso, o indifferente. Ci stanno accanto senza che ne riconosciamo l'esistenza, o ce ne dimentichiamo, equiparando nella stessa uniformità l'accaduto dal non accaduto. (....)
E così, mi capita di iniziare a pensare che noi non siamo fatti per capire ciò che ci viene raccontato, ma per spingerlo avanti nel corso del tempo, come un fiume in piena spinge avanti i tronchi degli alberi caduti...
Per la durezza del vostro cuore vi siete meritati di trascinare i sassi....




lunedì 21 gennaio 2008

Anna Maria Ortese, Corpo celeste

Anna Maria Ortese, Corpo Celeste, Milano, Adelphi, 1997

Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. E tornare a casa: Lo stesso che leggere. Chi scrive o legge realmente, cioè solo per sè, rientra a casa, sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando - per ragioni pratiche - è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. E' un povero, e rende la vita più povera.
(...)
E per tornare al che cosa, dunque, mi aiutava, e mi ha aiutato un po' in tutta la vita, devo rifarmi a questa sensazione interiore, poco dicibile, della vita come chiamata, per tutti, scelta non nostra, come particolare e obbedienza a un disegno che necessita di quel particolare. Il particolare può essere minimo, quasi invisibile; invisibile, anzi, nella sua insignificanza. Ma il disegno è eccelso. Il particolare - la pietrina del mosaico - lo sente, qualche volta; e allora si calma, accetta il suo posto.
(...)
La libertà è un respiro. Ma tutto il mondo respira, non solo l'uomo. Respirano le piante, gli animali. C'è ritmo (che è respiro) non solo per l'uomo. Le stagioni, il giorno, la notte sono respiro.



domenica 13 gennaio 2008

Ellen Bass, Eating the Bones

Eating The Bones
by Ellen Bass



The women in my family
strip the succulent
flesh from broiled chicken,
scrape the drumstick clean;
bite off the cartilage chew the gristle,
crush the porous swellings
at the ends of each slender baton.
With strong molars
they split the tibia, sucking out
the dense marrow.
They use up love, they swallow
every dark grain,
so at the end there's nothing left,
a scant pile of splinters
on the empty white plate.


From The Human Line by Ellen Bass. Copyright © 2007 by Ellen Bass. Reprinted by permission of Copper Canyon Press.

http://www.poets.org/


http://www.webster.it/book_usa-human_line_ellen_bass_copper-9781556592553.htm


Ellen Bass Reads "Bone of My Bone and Flesh of My Flesh":

http://it.youtube.com/watch?v=YH_BXr5oCKE&feature=related

www.alleo.it/alleo_old/POETRY/ellenbass.pdf

giovedì 10 gennaio 2008

Perec, Per le scale

Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso, Milano, Rizzoli 1995

Sì, tutto potrebbe iniziare così, qui, in questo modo, una maniera un po' pesante e lenta, nel luogo neutro che appartiene a tutti e a nessuno, dove la gente s'incontra quasi senza vedersi, in cui la vita dell'edificio si ripercuote, lontana e regolare. Di quello che succede dietro le pesanti porte degli appartamenti, spesso se non sempre si avvertono solo quegli echi esplosi, quei brani, quei brandelli, quegli schizzi, quegli abbozzi, quegl’'incidenti-o accidenti che si svolgono in quelle che si chiamano le parti comuni, i piccoli rumori felpati che la passatoia di lana rossa attutisce, gli embrioni di vita comunitaria che sempre si fermano sul pianerottolo.

(…)

Tutto quello che passa infatti passa per le scale, tutto quello che arriva,arriva dalle scale, lettere, partecipazioni, i mobili che gli uomini dei traslochi portano o portano via, il dottore chiamato d'urgenza, il viaggiatore che torna da un lungo viaggio.

martedì 1 gennaio 2008

Marguerite Duras, Scrivere

Marguerite Duras, Scrivere, Milano, Feltrinelli 1994, trad. L. Caruso Prato

E’ curioso uno scrittore. E’ una contraddizione e anche un nonsenso. Scrivere è anche non parlare. E’ tacere, è urlare senza rumore. E’ riposante uno scrittore, ascolta di continuo. Non parla molto perché è impossibile parlare a qualcuno di un libro che si è scritto e soprattutto di un libro che si sta scrivendo. E’ impossibile, è il contrario del cinema, del teatro e di altri spettacoli, è il contrario di ogni lettura. E’ la cosa più difficile di tutte, la peggiore. Perché un libro è l’ignoto, è il buio, è chiuso. Il libro avanza, cresce, va nelle direzioni che crediamo di aver esplorato, avanza verso il suo destino e quello dell’autore, annientato dalla sua pubblicazione: il distacco da lui, il libro sognato, come il bambino più piccolo, sempre il più amato.

Un libro aperto è anche la notte.

Non so perché le parole che ho appena detto mi fanno piangere.

Scrivere comunque, nonostante la disperazione. No: con la disperazione. Quale disperazione, non so darle un nome. Scrivere senza imboccare subito la via che porta allo scritto è pur sempre lavorarlo. E tuttavia si deve accettare questo: lavorare lo “scarto” significa tornare indietro verso un altro libro, verso un altro possibile di questo libro.