martedì 24 giugno 2008

Nafisi, Leggere Lolita a Teheran

Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Milano, Adelphi, 2008

"A chi raccontiamo ciò che è accaduto
sulla terra, per chi sistemiamo ovunque
specchi enormi, nella speranza che riflettano
qualcosa e non svanisca? " (C. Milosz)

Quel primo giorno domandai ai mei studenti quale ritenevano fosse il compito della narrativa: in altre parole perchè avremmo dovuto scomodarci a leggerla.
Era un esordio insolito, ma catturò l'attenzione. (...) Scrissi alla lavagna una delle mie citazioni di Adorno preferite: "la più alta forma di moralità è sentirsi degli estranei in casa propria". Spiegai che spesso le grandi opere di fantasia servivano proprio a questo, a farci sentire estranei in casa nostra. La migliore letteratura ci costringe sempre a interrogarci su ciò che tenderemmo a dare per scontato, e mette in discussione tradizioni e credenze che sembravano incrollabili. Invitai i miei studenti a leggere i testi che avrei loro assegnato soffermandosi sempre a riflettere sul modo in cui li scombussolavano, li turbavano, li costringevano a guardare il mondo, come Alice nel paese delle meraviglie, con occhi diversi. (...) "Un romanzo non è un'allegoria" dissi verso la fine della lezione. "E' l'esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai a identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. E' così che si legge un romanzo, come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo. E' tutto. Potete andare".