venerdì 28 giugno 2013

Regole

Jonathan Franzen, dal Guardian 

  1. The reader is a friend, not an adversary, not a spectator.
  2. Fiction that isn't an author's personal adventure into the frightening or the unknown isn't worth writing for anything but money.
  3. Never use the word "then" as a ­conjunction – we have "and" for this purpose. Substituting "then" is the lazy or tone-deaf writer's non-solution to the problem of too many "ands" on the page.
  4. Write in the third person unless a ­really distinctive first-person voice ­offers itself irresistibly.
  5. When information becomes free and universally accessible, voluminous research for a novel is devalued along with it.
  6. The most purely autobiographical ­fiction requires pure invention. Nobody ever wrote a more autobiographical story than "The Metamorphosis".
  7. You see more sitting still than chasing after.
  8. It's doubtful that anyone with an internet connection at his workplace is writing good fiction [the TIME magazine cover story detailed how Franzen physically disables the Net portal on his writing laptop].
  9. Interesting verbs are seldom very interesting.
  10. You have to love before you can be relentless.

TRADUZIONE DI PAOLO COGNETTI:

. Il lettore è un amico: non un avversario né uno spettatore.
   2. Scrivere è la tua avventura nella paura e nell’ignoto, altrimenti non vale niente (a parte i soldi).
   3. Non usare la parola “poi” come congiunzione. C’è la parola “e” per questo. Il “poi” è una non-soluzione, pigra e senza stile, al problema di avere troppe “e” sulla pagina.
   4. Scrivi in terza persona, a meno che una prima persona non si presenti a te con voce irresistibile.
   5. Più le informazioni diventano gratuite e diffuse, più le ricerche necessarie a un romanzo vengono sottovalutate.
   6. La narrativa più puramente autobiografica richiede invenzione pura. Nessuno ha mai scritto una storia più autobiografica della Metamorfosi.
   7. Pensi meglio stando seduto che correndo qua e là.
   8. Dubito seriamente che una persona connessa alla rete possa scrivere buona narrativa.
   9. I verbi con un suono interessante non sono quasi mai molto interessanti.
   10. Devi amare per poter essere spietato.



mercoledì 12 giugno 2013

La pelle del serpente


«È così che muoiono le infanzie, quando i ritorni 

non sono più possibili perché i ponti tagliati 


inclinano verso l’instancabile acqua


 le travi sconnesse nello spazio estraneo. 


Non c’è allora altro rimedio che quello del serpente: 


abbandonare la pelle nella quale non entriamo più, 


lasciarla  a terra, tra i cespugli, 


e passare all’età successiva. 


La vita è breve, ma in essa entra più di quel che siamo


 in grado di vivere».



(José Saramago, Di questo mondo e degli altri)

martedì 11 giugno 2013

Omaggio in foto a Giorgio Morandi


(fotografie di Corrado Riccomini, mostra a Grizzana Morandi, catalogo a cura di Marilena Pasquali e Eugenio Riccomini)

venerdì 7 giugno 2013

Un animale in una cesta (Pessoa)

23 (57)
E, oggi, pensando a ciò che è stata la mia vita finora, mi sento come un qualsiasi animale vivo, trasportato in una cesta che piega il braccio, fra due stazioni suburbane. L’immagine è stupida, però la vita che essa definisce è ancora più stupida. queste ceste normalmente hanno due coperchi, come semiovali, che si sollevano un po’ dalle due estremità ricurve se l’animale si agita. Ma il braccio di chi trasporta, in parte appoggiato lungo l’innervatura centrale, non permette a questa cosa così debole di alzare altro che le estremità inutili, come ali di farfalla che vanno indebolendosi.
Mi sono dimenticato, con la descrizione della cesta, che stavo parlando di me. La vedo nitidamente, e anche il braccio grasso e bianco e bruciato dal sole della domestica che la trasporta. Non riesco a vedere la domestica al di là del braccio e della sua peluria. Non riesco a sentirmi bene se non – all’improvviso – una grande frescura di… di… di quelle stecche bianche e nastri di  con cui si tessono le ceste e dove mi agito, animale, fra due fermate che sento. Fra di esse riposo su quella che pare essere una panchina, e sento che parlano là fuori dal mio cesto. Dormo perché mi calmo, finché non mi solleveranno nuovamente, giunto alla fermata.
Fernando Pessoa, Il secondo libro dell'inquietudine, Feltrinelli 2013