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E, oggi, pensando a ciò che è stata la mia vita finora, mi sento come un qualsiasi animale vivo, trasportato in una cesta che piega il braccio, fra due stazioni suburbane. L’immagine è stupida, però la vita che essa definisce è ancora più stupida. queste ceste normalmente hanno due coperchi, come semiovali, che si sollevano un po’ dalle due estremità ricurve se l’animale si agita. Ma il braccio di chi trasporta, in parte appoggiato lungo l’innervatura centrale, non permette a questa cosa così debole di alzare altro che le estremità inutili, come ali di farfalla che vanno indebolendosi.
Mi sono dimenticato, con la descrizione della cesta, che stavo parlando di me. La vedo nitidamente, e anche il braccio grasso e bianco e bruciato dal sole della domestica che la trasporta. Non riesco a vedere la domestica al di là del braccio e della sua peluria. Non riesco a sentirmi bene se non – all’improvviso – una grande frescura di… di… di quelle stecche bianche e nastri di con cui si tessono le ceste e dove mi agito, animale, fra due fermate che sento. Fra di esse riposo su quella che pare essere una panchina, e sento che parlano là fuori dal mio cesto. Dormo perché mi calmo, finché non mi solleveranno nuovamente, giunto alla fermata.
Fernando Pessoa, Il secondo libro dell'inquietudine, Feltrinelli 2013