venerdì 21 settembre 2007

Erasmo, Elogio della follia

Lettera di Erasmo da Rotterdam a Tommaso Moro

Tornandomi ultimamente dall'Italia in Inghilterra, per non perdermi in chiacchiere come un rozzo illetterato, tutto quel tempo che dovevo passare a cavallo, preferii riflettere un poco sui nostri studi comuni e godere del ricordo degli amici coltissimi e tanto cari, che avevo lasciato qui. Fra i primi che mi sono tornati alla mente c'eri tu, Moro carissimo. Anche da lontano il tuo ricordo aveva il medesimo fascino che esercitava, nella consueta intimità, la tua presenza che è stata, te lo giuro, la cosa più bella della mia vita.Visto, dunque, che ritenevo di dover fare ad ogni costo qualcosa, e che il momento non sembrava adatto a una meditazione seria, mi venne in mente di tessere un elogio scherzoso della Follia.
"Ma quale capriccio di Pallade - ti chiederai - ti ha ispirato un'idea del genere?" In primo luogo, il tuo nome di famiglia, tanto vicino al termine morìa, quanto tu sei lontano dalla follia. E ne sei lontano a parere di tutti. Immaginavo inoltre che la mia trovata scherzosa sarebbe piaciuta soprattutto a te, che di solito ti diletti in questo genere scherzi, non privi, mi sembra, di dottrina e di sale, perchè nella vita di tutti i giorni fai in qualche modo la parte di Democrito. Sebbene, infatti, per singolare acume d'ingegno tu sia tanto lontano dal volgo, con la tua incredibile benevolenza e cordialità puoi trattare familiarmente con uomini d'ogni genere, traendone anche godimento.Quindi, non solo accoglierai di buon grado questo mio modesto esercizio retorico, per ricordo del tuo amico, ma anche lo prenderai sotto la tua protezione; dedicato a te, non mi appartiene più: è tuo.
(...)
Satire di questo genere, e molto più libere e mordenti, troviamo in san Girolamo, che talvolta fece anche i nomi. Io non solo non ho mai fatto nomi, ma ho adottato un tono così misurato che qualunque lettore avveduto si renderà conto che mi sono proposto la piacevolezza piuttosto che l'offesa. Né ho seguito l'esempio di Giovenale: non ho mai smosso l'oscuro fondo delle scelleratezze; ho cercato di colpire quanto è risibile piuttosto che le turpitudini. Se poi c'è ancora qualcuno che nemmeno così è contento, ricordi almeno questo: che è bello essere vituperati dalla Follia e che avendola introdotta a parlare, dovevo rimanere fedele al personaggio. Ma perché dire queste cose a te, avvocato così straordinario da difendere in modo egregio anche cause non egregie? Addio, eloquentissimo Moro, e difendi con zelo la tua Morìa.

Dalla campagna, 9 giugno 1508.

E' la dedica che introduce l'Elogio della follia. Il testo completo:
http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/erasmo01.htm

Testo in lingua originale (latino: Moriae Encomium)

ERASMVS ROT. THOMAE MORO SVO S. D.
Superioribus diebus cum me ex Italia in Angliam recepissem, ne totum hoc tempus quo equo fuit insidendum amusois et illitteratis fabulis tereretur, malui mecum aliquoties uel de communibus studiis nostris aliquid agitare, uel amicorum, quos hic ut doctissimos ita et suauissimos reliqueram, recordatione frui. Inter hos tu, mi More, uel in primis occurrebas; cuius equidem absentis absens memoria non aliter frui solebam quam presentis presens consuetudine consueueram; qua dispeream si quid unquam in uita contigit mellitius. Ergo quoniam omnino aliquid agendum duxi, et id tempus ad seriam commentationem parum uidebatur accommodatum, uisum est Moriae Encomium ludere.
Que Pallas istuc tibi misit in mentem ? inquies. Primum admonuit me Mori cognomen tibi gentile, quod tam ad Moriae uocabulum accedit quam es ipse a re alienus; es autem uel omnium suffragiis alienissimus. Deinde suspicabar hunc ingenii nostri lusum tibi precipue probatum iri, propterea quod soleas huius generis iocis, hoc est nec indoctis, ni fallor, nec usquequaque insulsis, impendio delectari, et omnino in communi mortalium uita Democritum quendam agere. Quanquam tu quidem, ut pro singulari quadam ingenii tui perspicacitate longe lateque a uulgo dissentire soles, ita pro incredibili morum suauitate facilitateque cum omnibus omnium horarum hominem agere et potes et gaudes. Hanc igitur declamatiunculam non solum lubens accipies ceu mnemosunon tui sodalis, uerum etiam tuendam suscipies, utpote tibi dicatam iamque tuam non meam.
(...)
Vale, disertissime More, et Moriam tuam gnauiter defende.

http://smith2.sewanee.edu/erasmus/ME.html

mercoledì 19 settembre 2007

martedì 18 settembre 2007

Spindelmühle, Riesengebirge


29 gennaio. Assalti sulla strada nella neve, di sera. Continuo accavallarsi delle idee,per esempio così: la situazione di questo mondo sarebbe paurosa, qui solo a Spindelmühle, e per giunta su una strada abbandonata dove si scivola continuamente al buio, nella neve, strada oltre a ciò assurda senza meta terrena; (che porta al ponte? Perchè proprio là?
Oltre a ciò, non l’ho neanche raggiunta) e anch’io abbandonato nella località […], incapace di entrare in relazione con qualcuno, […]. Se fosse soltanto come può sembrare sulla strada nella neve, sarebbe terribile, io sarei perduto, intendendo ciò non come minaccia, ma come immediato supplizio. Sennonché, io sono altrove, soltanto l’attrazione del mondo umano è mostruosa e in un istante può far dimenticare tutto. Ma anche l’attrazione del mio mondo è grande […]»
Franz Kafka, Diari 1922, in Confessioni e diari, Milano, Mondadori,1972,
trad. E. Pocar

venerdì 14 settembre 2007

Franco Fortini, Foglio di via

Franco Fortini, Foglio di via, in Una volta per sempre,
poesie 1938-1973, Torino, Einaudi, 1978


Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.

Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d'acqua i rami degli alberi.

Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.

Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

martedì 11 settembre 2007

Junger, Tre strade per la scuola

Ernst Junger, Tre strade per la scuola - Vendetta tardiva,
Parma, Guanda, 2007, trad. A. Iadicicco

Il bello della scuola era, più di tutto, la strada per arrivarci, ecco perchè a Wolfram sarebbe piaciuto allungarla il più possibile. Poi però sarebbe arrivato troppo tardi, e arrivare tardi era cosa grave.
Nell'agitazione non trovava la porta giusta, si sbagliava perfino di piano e disturbava la lezione nelle altre classi. Gl insegnanti, la maggior parte dei quali portava il colletto rigido e lo stringinaso, lo fissavano arrabbiati, mentre gli scolari esultavano per l'interruzione. Quasi un quarto d'ora era bell'e andato prima ch'egli potesse balbettare le sue scuse. E comunque non c'erano scuse.
(...)
Certo sarebbe stato bello se non ci fosse stato altro che la strada, ma c'era la scuola a proiettarvi la sua ombra.

lunedì 10 settembre 2007

Le revenant in Derrida

Le revenant

Giorgio De Chirico, Le revenant (1914)


Charles Baudelaire, Le revenant, in Le fleurs du mal, Paris, Gallimard, 1961


Comme les anges à l'oeil fauve,
Je reviendrai dans ton alcôve
Et vers toi glisserai sans bruit
Avec les ombres de la nuit,

Et je te donnerai, ma brune,
Des baisers froids comme la lune
Et des caresses de serpent
Autour d'une fosse rampant.

Quand viendra le matin livide,
Tu trouveras ma place vide,
Où jusqu'au soir il fera froid.

Comme d'autres par la tendresse,
Sur ta vie et sur ta jeunesse,
Moi, je veux régner par l'effroi.

domenica 9 settembre 2007

Apollinaire, il pleut





Il pleut des voix de femmes comme si elles étaient mortes même dans le souvenir
c’est vous aussi qu’il pleut, merveilleuses rencontres de ma vie. ô gouttelettes!
et ces nuages cabrés se prennent à hennir tout un univers de villes auriculaires
écoute s’il pleut tandis que le regret et le dédain pleurent une ancienne musique
écoute tomber les liens qui te retiennent en haut et en bas

Guillaume Apollinaire, Il pleut, in Calligrammes, Paris, Gallimard, 1970

Volete passeggiare per Parigi?
http://www.wiu.edu/Apollinaire/Promenade_interactive.htm

Apollinaire recita Le pont Mirabeau:
http://www.wiu.edu/Apollinaire/Apollinaire_recite_le_pont_Mirabeau.wav

sabato 8 settembre 2007

Ponge, Pioggia

Francis Ponge, Pioggia, in Il partito preso delle cose,
Torino, Einaudi, 1979, trad. J. Risset.


La pioggia, nel cortile dove la guardo cadere, scende con andature assai diverse.
Al centro è un sipario sottile (o reticolato) discontinuo, una caduta implacabile ma relativamente lenta di gocce probabilmente molto lievi, un precipitare sempiterno senza vigore, una frazione intensa della meteora pura.
A poca distanza dai muri di destra e di sinistra cadono con maggior rumore gocce piú pesanti, individuate. Qui sembrano della grandezza di un chicco di grano, lí di un pisello, altrove quasi di una biglia.
Sui listelli di ferro, sui davanzali delle fìnestre, la pioggia corre orizzontalmente, mentre sulla faccia inferiore degli stessi ostacoli si sospende in rombi convessi. Seguendo l'intera superficie di una tettoia di zinco che lo sguardo sovrasta, cola in strato sottilissimo, marezzato dalle correnti variate a seconda delle impercettibili ondulazioni e sporgenze della copertura. Dalla grondaia attigua dove scorre con la contenzione di un ruscello infossato senza forte pendio, cade di colpo in un filo perfettamente verticale, grossolanamente intrecciato, fino al suolo dove si rompe e rimbalza in aghetti brillanti.
Ogni sua forma ha un andamento particolare; a ognuna corrisponde un rumore particolare. Il tutto vive con intensità come un meccanismo complicato, preciso quanto arrischiato, come un movimento a orologeria la cui molla è il peso di una data massa di vapore in precipitazione.
La suoneria a terra delle reti verticali, il gluglú delle grondaie, i minuscoli colpi di gong, si moltiplicano e risuonano assieme in un concerto senza monotonia, non senza delicatezza.
Quando la molla si è allentata, alcuni ingranaggi continuano a funzionare per un po', sempre piú rallentati, poi tutto il meccanismo si ferma.
Allora, se il sole riappare tutto si cancella rapidamente, evapora il brillante apparecchio: è piovuto.

venerdì 7 settembre 2007

Adorno, Minima moralia

Theodor W. Adorno, Minima moralia, Meditazioni della vita offesa,
Torino, Einaudi 1994, trad. R. Solmi.

51 (1945)
(...)
I testi elaborati come si conviene sono come ragnatele: fitti, concentrici, trasparenti, solidi e ben connessi. Essi attirano a sè tutto ciò che si aggira nei dintorni. Metafore che li attraversano per caso diventano una presa nutriente. Materiali affluiscono da ogni parte. Per giudicare della solidità di un abbozzo, basta vedere se evoca le citazioni. Il pensiero che ha dischiuso una cellula della realtà, penetra, senza violenza del soggetto, nella cellula accanto. Dimostra di essere in rapporto con l'oggetto quando altri oggetti si cristallizzano intorno a esso. Nella luce che dirige sul proprio oggetto, altri cominciano a scintillare.

Lo scrittore si dispone nel proprio testo come a casa propria. Come crea disordine e confusione con i fogli, i libri, le matite e le cartelle che si porta dietro da una stanza all'altra, così fa anche, in un certo modo, coi suoi pensieri. Essi diventano, per lui, come mobili o suppellettili domestiche, su cui prende posto, si sente a proprio agio o, viceversa, va su tutte le furie. Li carezza delicatamente, li consuma, li mette a soqquadro, li sposta, li rovina. Per chi non ha più patria, anche e proprio lo scrivere può diventare una sorta di abitazione.

martedì 4 settembre 2007

Riflessioni

Nessuno può dire di quali fili sia veramente tessuta l'esperienza dello sguardo, salvo riconoscere in essa, all'interno delle nostre culture, l'esperienza stessa, l'esperienza più generale della relazione. Vedere, essere visto; guardare, essere guardato: giochi di scambi, di reciprocità, di specchi. Lo sguardo è anzitutto relazione: è dominato dal desiderio, e sempre parzialmente insoddisfatto. Lo sguardo è sempre altrove, mai in se stesso.
(...)
Specchi, vetri, finestre, laghi immobili, lunette di teatro, lampadari, cristalli, pietre preziose - consideriamo tutti questi oggetti come altrettante trappole ottiche, ricettacoli in cui giunge a familiarizzarsi il primo attributo di ogni essenza originale: la trasparenza.

Valerio Magrelli, Vedersi vedersi. Modelli e circuiti visivi nell'opera di Paul Valery,Torino, Einaudi, 2002.

lunedì 3 settembre 2007

Borges, Il libro

J. L. Borges, Oral, Roma, Editori Riuniti, 1981, trad. it. A. Morino

Tra i diversi strumenti dell'uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, il libro. Gli altri sono estensioni del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della voce; poi ci sono l'aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma il libro è un'altra cosa: il libro è un'estensione della memoria e dell'immaginazione.
(...)
Eraclito disse (l'ho ripetuto tante e tante volte) che nessuno scende due volte lungo lo stesso fiume. Nessuno scende lungo lo stesso fiume perchè le acque mutano, ma la cosa più terribile è che noi non siamo meno fluidi del fiume. Ogni volta che leggiamo un libro, il libro è mutato, la connotazione delle parole è diversa. Inoltre, i libri sono carichi di passato.
Ho parlato contro la critica ed ora mi smentirò (ma che importa smentirmi?). Amleto non era esattamente l'Amleto che Shakespeare concepì agli inizi del secolo XVII, Amleto è l'Amleto di Coleridge, di Goethe e di Bradley. Amleto è stato fatto rinascere. Lo stesso succede col Chisciotte. I lettori hanno arricchito il libro.
Se leggiamo un libro antico è come se leggessimo tutto il tempo che è trascorso dal giorno in cui è stato scritto per noi. Per questo è bene mantenere il culto del libro. Il libro può essere pieno di errori di stampa, possiamo non essere d'accordo con le opinioni dell'autore, ma serba sempre qualcosa di sacro, qualcosa di divino, non con rispetto superstizioso, ma col desiderio di trovare felicità, di trovare saggezza.
Questo è quanto intendevo dirvi oggi.
24 maggio 1978

La fondazione di San Telmo su Borges:
http://www.fst.com.ar/

Una scheda, la bibliografia, un'intervista:
http://www.minimumfax.com/persona.asp?personaID=18