venerdì 7 settembre 2007

Adorno, Minima moralia

Theodor W. Adorno, Minima moralia, Meditazioni della vita offesa,
Torino, Einaudi 1994, trad. R. Solmi.

51 (1945)
(...)
I testi elaborati come si conviene sono come ragnatele: fitti, concentrici, trasparenti, solidi e ben connessi. Essi attirano a sè tutto ciò che si aggira nei dintorni. Metafore che li attraversano per caso diventano una presa nutriente. Materiali affluiscono da ogni parte. Per giudicare della solidità di un abbozzo, basta vedere se evoca le citazioni. Il pensiero che ha dischiuso una cellula della realtà, penetra, senza violenza del soggetto, nella cellula accanto. Dimostra di essere in rapporto con l'oggetto quando altri oggetti si cristallizzano intorno a esso. Nella luce che dirige sul proprio oggetto, altri cominciano a scintillare.

Lo scrittore si dispone nel proprio testo come a casa propria. Come crea disordine e confusione con i fogli, i libri, le matite e le cartelle che si porta dietro da una stanza all'altra, così fa anche, in un certo modo, coi suoi pensieri. Essi diventano, per lui, come mobili o suppellettili domestiche, su cui prende posto, si sente a proprio agio o, viceversa, va su tutte le furie. Li carezza delicatamente, li consuma, li mette a soqquadro, li sposta, li rovina. Per chi non ha più patria, anche e proprio lo scrivere può diventare una sorta di abitazione.