domenica 30 dicembre 2007

Bertolucci, Portami con te

Attilio Bertolucci: Portami con te , in Viaggio d'inverno, Opere, Milano, Mondadori Meridiani 1997


Portami con te nel mattino vivace
le reni rotte l'occhio sveglio appoggiato
al tuo fianco di donna che cammina
come fa l'amore,

sono gli ultimi giorni dell'inverno
a bagnarci le mani e i camini
fumano più del necessario in una
stagione così tiepida,

ma lascia che vadano in malora
economia e sobrietà,
si consumino le scorte
della città e della nazione

se il cielo offuscandosi, e poi
schiarendo per un sole più forte,
ci saremo trovati
là dove vita e morte hanno una sosta,

sfavilla il mezzogiorno, lamiera
che è azzurra ormai
senza residui e sopra
calmi uccelli camminano non volano.

domenica 23 dicembre 2007

Frank Sinatra: Santa Claus is coming to town



(J. Fred Coots, Henry Gillespie, 1934)

You better watch out
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming to town

He's making a list,
And checking it twice;
Gonna find out Who's naughty and nice.
Santa Claus is coming to town

He sees you when you're sleeping
He knows when you're awake
He knows if you've been bad or good
So be good for goodness sake!

O! You better watch out!
You better not cry.
Better not pout, I'm telling you why.
Santa Claus is coming to town.
Santa Claus is coming to town.

venerdì 21 dicembre 2007

Libro sospeso

Francesco Forlani, A gamba tesa, in Nazione Indiana, 21 Dic 2007

(...)
A Napoli il caffè sospeso è una tradizione che viene da molto lontano. Chiunque ne avesse avuto voglia pagava oltre al proprio caffè anche un altro, lasciandolo a disposizione, appunto “sospeso” per chi non avesse di che permetterselo.
(…)
Edmond Jabes scriveva che lo straniero, non è “là fuori”, rassicurante estraneità; rassicurante perché sappiamo come possiamo difenderci da essa. E’ qui dentro - ci abita sapeva benissimo le implicazioni contenute in una riflessione del genere. Nessuna cultura dell’ identità sarebbe stata possibile nè tanto meno augurabile. A meno di non essere dissociati mentali.
L’esperienza dell’estraneità - étran-Je (estran-io) diceva Jabes, inoltre comporta necessariamente una cultura dell’ospitalità. Senza ospitalità del resto non ci sarebbero stranieri. Gli psicopati dell’identità infatti li avrebbero espulsi appena toccato il suolo.
I libri ci ospitano. Di un’ospitalità che è soprattutto dono. Il lettore ha lo statuto del viaggiatore ed ecco perchè in ogni libro, perfino in una poesia, c’è come una scatola nera (black box), un episodio, un’atmosfera, un verso che traccia l’esperienza del volo, ne registra ogni traccia.Che seppure andasse distrutto quel libro, un’unica frase, un frammento ne permetterebbe la sopravvivenza. Del resto molti capolavori del passato nonostante fossero stati massacrati da traduzioni ai limiti dell’infamia riuscirono a giungere al lettore. A passare il confine.
Come per il caffè bisognerebbe immaginare dei libri sospesi. Un libro che abbia il sapore di un gesto antico di un dono.
Come quando la madre dell’amica che mi ospitava a Roma, ignara della mia presenza senza chiedermi chi fossi mi ha riscaldato l’anima con un caffé.

http://www.nazioneindiana.com

mercoledì 19 dicembre 2007

Moby Dick

Hermann Melville, Moby Dick, Milano, Mondadori, 1986, trad. Cesarina Minoli

Cap. CXXXII LA SINFONIA

Era una limpida giornata di un azzurro acciaio. I firmamenti dell'aria e del mare erano appena separabili in quell'azzurro che tutto penetrava; soltanto, l'aria pensosa era di una trasparenza pura e morbida, con un'apparenza femminea,
mentre il mare robusto e virile, si sollevava con ondate lunghe, forti e lente, come il petto di Sansone nel sonno.
Di qua e di là, in alto, trascorrevano le ali nivee di piccoli uccelli immacolati: erano questi i gentili pensieri dell'aria femminina; ma avanti e indietro, negli abissi, giù, nell'azzurro senza fondo, correvano precipiti possenti leviatani, pescispada e squali, e questi erano i pensieri violenti, tormentati, assassini, del mare mascolino. Ma sebbene tanto contrastanti interiormente, il contrasto esteriore era soltanto di ombre e sembianze; quei due parevano uno, era come se il sesso soltanto, per dir così, li distinguesse.
Legato e contorto, noccheruto e nodoso per le rughe, selvaggiamente incrollabile e ostinato, con occhi ardenti come carboni ancora accesi fra le ceneri della rovina, l'inflessibile Acab stava ritto nella limpidezza del mattino: alzando l'elmo frantumato della fronte, verso la fronte celeste della dolce fanciulla.
Attraversando lentamente il ponte, dal boccaporto, Acab si sporse dalla fiancata ad osservare come la sua ombra affondasse nell'acqua e come affondasse al suo sguardo quanto più egli si sforzava di scrutarne la profondità. Ma gli amabili
aromi in quell'aria incantata parvero alla fine disperdere, per un attimo, il cancro ch'era nell'anima sua. Quell'aria serena, felice, quel cielo ridente, lo toccarono finalmente e lo accarezzarono; la terra matrigna, tanto crudele, ripugnante, ora gettava braccia affettuose attorno al suo collo caparbio, e pareva singhiozzare di gioia su di lui, come sopra uno che quantunque testardo e
traviato, ella potesse tuttavia trovare nel suo cuore di che benedirlo e salvarlo. Di sotto al suo cappello abbassato, una lagrima di Acab cadde nel mare: e tutto il Pacifico non contenne ricchezze paragonabili a quella goccia di pianto.

Anteprima del volume in lingua originale:

http://books.google.it/books?id=cyrMu-gkGQQC&dq=moby+dick&sa=X&oi=print&ct=book-ref-page-link&cad=one-book-with-thumbnail&hl=it


Lettura ad alta voce su radio tre

http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/alta_voce/archivio_2003/eventi/2003_03_03_moby_dick/index.cfm

sabato 15 dicembre 2007

Bachmann, Il deserto

Ingeborg Bachman, Libro del deserto, Cronopio, Napoli, 1999, trad. A. Pensa


Non è niente, non è un merito, vivere, scrivere, tirar fuori dal sacco delle parole le noci e le mandorle.
(...)
Lasciatemi oggi e domani. Lasciatemi solo fare qualcosa di buono, poi più niente, essere un po' affabile, poi non esprimere più niente. Si sono dovuti mettere insieme così tanti bagagli che devo pensare a come fare per averli sul bordo del deserto. Dove sarà mai il deserto, in Oriente, in Africa, ah sì, da qualche parte, ma uno deve poterlo vedere, deve poterci andare, come in un'acqua poco profonda, e allora sarà visibile una tenda e ci saranno due cammmelli, e si resterà a guardare senza pensare a niente.
(...)
Nel deserto la luce si è rovesciata sopra di me.
(...)
Il deserto ha la grandezza, non è niente, perciò grandezza, è meno di niente, è ogni giorno, ogni istante, è la noia più infinita per qualcuno, la perenne eccitazione per chi ha gli occhi contrassegnati dalla sua sabbia.

Je veux dire à moi-meme le desert
Beckett

martedì 4 dicembre 2007

Perchè leggere

Ezio Raimondi, Un'etica del lettore, Bologna, Il Mulino 2007

Dove siamo quando leggiamo? In quale tempo e in quale spazio ha propriamente luogo il singolare, fragile evento della lettura? Qual è lo statuto della nostra soggettività mentre sul libro, di frase in frase, si mobilitano insieme l'orecchio e lo sguardo, l'immaginazione e la voce?
Una volta un grande scrittore del Novecento, Thomas Mann, ha raccontato una sua esperienza di lettura intrecciandola a un'esperienza di viaggio.
(...)
La solitudine diventa paradossalmente socievolezza, entro un rapporto certo fragile come sono fragili tutti i rapporti intensi e non convenzionali, che aspirino a essere autentici. E qui forse, tra il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una vera e propria relazione etica. Anche per Thomas Mann leggere Il Chisciotte significava alla fine partecipare a un "vita etica superiore" in cui si affermava "il relativismo di ogni libertà";ed era riconoscimento che la libertà attinge il massimo di valore spirituale sullo sfondo di una "vera costrizione", tanto più vincolante in quanto si costituisce "dall'interno", con la consapevolezza auita che "il molteplice, non il semplice, prepara l'avvenire".



Un bell'elenco di libri recenti sulla lettura:
http://www.bibliotecasalaborsa.it/bibliografie/9043

sabato 1 dicembre 2007

Biblioteche

Pier Cesare Bori,Incipit. Cinquant'anni, cinquanta libri (1953-2003), Milano, Marietti, 2005.

Ecco i miei libri. Alle mie spalle, in ordine alfabetico nella libreria, ci sono le fonti: i classici in originale o in traduzione, i grandi autori di ogni epoca, i saggi importanti. Davanti a me sono schierati tutti gli altri: li ho chiamati monografie. A volte sposto un libro da un posto all'altro. Qualche tempo fa ho pensato di presentare ad alcuni allievi o amici quel libri con cui sono cresciuto e cresco. Allora ne ho messi in fila cinquanta sulla scrivania. Cinquanta libri, pressappoco nell'ordine in cui li ho letti, a partire dal 1953. Ho fatto cinquanta schede bibliografiche in cui si descrive il libro a partire dal suo incipit, ma si parla poi anche di dove lo ho incontrato, di quanto vi ho appreso e di quello che ne ho scritto. Sono schede bibliografiche, ma non credo che sia venuta fuori una cosa libresca: c'è un racconto, c'è un pensiero, forse anche qualcosa di poesia. Spetta a chi legge riconoscerli. Ecco i libri che mi hanno fatto crescere, mi fanno crescere. Loro parlano, io ascolto»