lunedì 30 luglio 2007

Esiodo, Estate

Hesiodus, Erga, vv. 582-596, trad. F. Cinti


Quando il cardo fiorisce e l’echeggiante
Cicala appesa a un albero il suo acuto
Canto riversa fitto sotto le ali,
Nella spossante stagione d’estate,
Allora grasse assai sono le capre
E ottimo il vino, ardenti assai le donne,
Gli uomini molto fiacchi, perché il capo
E le ginocchia Sirio fa avvampare,
Riarsa è la pelle sotto la calura;
Possa esserci una pietra ombrosa e vino
Di Biblo e una focaccia al latte e latte
Di una capra che ormai più non allatta
E carne di giovenca delle selve,
Che non abbia figliato, e di capretti
Appena nati; bere vino nero
Seduto all’ombra, sazio del banchetto,
Rivolto il viso a Zefiro veloce;
Di una fonte perenne e giù corrente,
Pura, versare tre misure d’acqua,
La quarta poi aggiungere di vino.

giovedì 26 luglio 2007

L'attesa


Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Torino, Einaudi, 1979, trad. R. Gaudieri, p. 42


"Sono innamorato? - Sì, poiché sto aspettando". L'altro, invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell'innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta.
(Nel transfert, si aspetta sempre - dal medico, dal professore, dall'analista. Ancora più evidentemente: se sto aspettando allo sportello d'una banca, o alla partenza d'un aereo, subito stabilisco un rapporto aggressivo con l'impiegato, con l'hostess, la cui indifferenza svela e irrita la mia sudditanza; si può così dire che, ove vi è attesa, vi è transfert: io dipendo da una persona che si fa a mezzo e che impiega del tempo a darsi - come se si trattasse di far scemare il mio desiderio, d'infiacchire il mio bisogno. Fare aspettare: prerogativa costante di qualsiasi potere, "passatempo millenario dell'umanità").


Il quadro è di Felice Casorati.





venerdì 20 luglio 2007

Prestidigitazione?

"Il funambolismo è una forma di poesia? Credo di sì. Petit, rievocando l'impresa, dice di aver pensato spesso ad un celebre mago, René Lavand, che aveva un braccio solo e faceva con le carte cose stupefacenti. Ai suoi amici illusionisti diceva: si può fare anche con due mani".

(Paolo Mauri su Philippe Petit, la Repubblica, 23 giugno 2003)


Renè Lavand

vedi il video del suo lentissimo gioco con le carte: No se puede hacer mas lento

http://it.youtube.com/watch?v=KS1ogWcIO5Q

mercoledì 18 luglio 2007

Fili

"C'è un'idea, in quello che scrivo, senza la quale non avrei dato un centesimo per l'intero lavoro. E' l'idea più bella e piena, e il suo prendere corpo è un trionfo di pazienza e di ingegno. Dovrei lasciare a qualcun altro il compito di dirlo: ma il fatto che nessuno lo dica è precisamente ciò di cui stiamo parlando. E' la piccola magia che scorre da un capo all'altro dei miei libri; il resto, al confronto, si ferma alla superficie. L'ordine, la forma, la tessitura dei miei romanzi saranno forse un giorno, per gli iniziati, una rappresentazione completa di tutto ciò. Dunque, è questo che i critici devono cercare. Direi addirittura - soggiunse con un sorriso - che è quello che i critici devono trovare".
Henry James, La figura nel tappeto, Sellerio, Palermo, 2002, trad. it. B. Bini

lunedì 16 luglio 2007

Un altro castello

Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi, 1973

In mezzo a un fitto bosco, un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio: cavalieri e dame, cortei reali e semplici viandanti.
Passai per un ponte levatoio sconnesso, smontai di sella in una corte buia, stallieri silenziosi presero in consegna il mio cavallo.
Ero senza fiato; le gambe mi reggevano appena; da quando ero entrato nel bosco tali erano state le prove che mi erano occorse, gli incontri, le apparizioni, i duelli, che non riuscivo a ridare un ordine nè ai movimenti nè ai pensieri.
Salii una scalinata; mi trovai in una sala alta e spaziosa: molte persone - certamente anch'essi ospiti di passaggio , che m'avevano preceduto per le vie della foresta - sedevano a cena attorono a un desco illuminato da candelieri.
(...)
Uno dei commensali tirò a sè le carte sparse, lasciando sgombra una larga parte del tavolo; ma non le radunò in mazzo nè le mescolò; prese una carta e la posò davanti a sè. Tutti notammo la somiglianza tra il suo viso e quello della figura, e ci parve di capire che con quella carta egli voleva dire "io" e che s'accingeva a raccontare la sua storia.
(...)
Certamente anche la mia storia è contenuta in questo intreccio di carte, passato presente futuro, ma io non so più distinguerla dalle altre. La foresta, il castello, i tarocchi m'hanno portato a questo traguardo: a perdere la mia storia, a confonderla nel pulviscolo delle storie, a liberarmene.

http://www.italocalvino.net/

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venerdì 13 luglio 2007

Il castello

Franz Kafka, Il castello, in I romanzi, Milano, Mondadori, 1998, trad A. Rho

Era tarda sera quando K. arrivò. Il paese era affondato nella neve. La collina non si vedeva, nebbia e tenebre la nascondevano, e non il più fioco raggio di luce indicava il grande Castello. K. si fermò a lungo sul ponte di legno che conduceva dalla strada maestra al villaggio e guardò su nel vuoto apparente.
Poi andò a cercarsi un tetto; nell'osteria erano ancora svegli, l'oste non aveva stanze da appigionare, ma, molto sorpreso e sconcertato per quel cliente tardivo, gli propose di farlo dormire nella sala su un pagliericcio. K. accettò. Alcuni contadini erano ancora seduti davanti ai loro boccali di birra, ma egli non volle parlare con nessuno, andò lui stesso a prendersi il pagliericcio in solaio, e si coricò vicino alla stufa. Faceva caldo; i contadini erano silenziosi, K. li guardò ancora per qualche minuto con gli occhi stanchi, poi s'addormentò.

sabato 7 luglio 2007

Le nuvole di Fabrizio de Andrè

Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardino con malocchio
Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell' airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri
Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore
Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai
Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.