domenica 5 febbraio 2012

Anedda - Lei è (e non è) mia madre


Antonella Anedda, Salva con nome, Mondadori 2012
Mette in fila i ricordi
loro gridano che non sono mai esistiti.
Mette in fila i nomi
loro battono insieme come cucchiai di legno
Mette in fila i visi e loro a schiera si sfaldano
confondendo le unghie con i suoni.
Parla con l’aria: “Tu non ferisci”, dice,
ma l’aria brucia e rade - a falce - il passato.
1
Nelle sue orecchie il mondo arriva a ondate.
In una il dolore è più ottuso. Nell’altra c’è più aria.
Anche nel sonno sente l’ovatta e le fiamme.
La fronte tocca le ginocchia piegate.
Torna a essere un feto che ignora l’infinito.
 2
Abbandonandosi trova una fessura.
Non resistendo il dolore trova finalmente la vena.
Trasmutando si placa.
I passi nel selciato ora raggiungono la gola.
Stridono come carri sul petto. Odorano di acciaio.
Il timpano traghetta - bianco su nero -
-come formica e pane- un ultimo pensiero.
 
3
Anche cadendo continua a dormire.
La bocca sul pavimento non sente il freddo.
La raccolgono, la voltano.
La nuca non trema, sta come muschio nelle mani.
Il corpo è tutto nero. Dietro ci sono le sfere dei monti, la sbarra dei lecci.
Il cielo le posa una benda di pioggia sulla schiena.
Una foglia gialla è una goccia d’unguento sulla fronte.
Prima di sgorgare il sangue si raccoglie in un catino di osso.
A distanza e indietro. Lei è (e non è) mia madre.