giovedì 16 ottobre 2008

D'Arzo - Celati

Gianni Celati, D'Arzo, lo stile di chi è straniero dovunque.

"Il mondo non è casa tua, e a te sembra di starci a dozzina"

IL TESTO
(Da Zibaldoni, n.3, quarta serie)

Hrabal, Una solitudine ...

Bohumil Hrabal, Una solitudine troppo rumorosa, Torino, Einaudi, 1991

Già siedo in casa nella penombra, siedo su uno sgabello, la testa mi cade e alla fine tocco me stesso con le labbra bagnate e solo così schiaccio un pisolino. A volte, nella posizione della sedia Thonet, dormo così fin verso la mezzanotte e quando mi sveglio sollevo la testa e ho la gamba dei pantaloni madida di saliva al ginocchio, tanto mi sono raggomitolato e ranniccchiato su me stesso, come un gattino d'inverno, come il legno di una sedia a dondolo, perchè io mi posso permettere quel lusso di essere abbandonato, anche se io abbandonato non sono mai, io sono soltanto solo per poter vivere in una solitudine popolata di pensieri, perchè io sono un po' uno spaccone dell'infinito e dell'eternità e l' Infinito e l'Eternità forse hanno un debole per le persone come me.
(...)
Seduto sulla panchina, sorridevo candidamente, non ricordavo nulla, non vedevo nulla, non udivo nulla, perchè ormai ero forse già nel cuore del Paradiso terrestre.

giovedì 2 ottobre 2008

Sylvia Plath, Limite (Edge)

Limite

La donna ora è perfetta.
Il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza,
l’illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s’irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,
non ha motivo di essere triste.
È abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.

(5 febbraio 1963)

Edge

The woman is perfected.
Her dead
Body wears the smile of accomplishment,
The illusion of a Greek necessity
Flows in the scrolls of her toga,
Her bare
Feet seem to be saying:
We have come so far, it is over.
Each dead child coiled, a white serpent,
One at each little
Pitcher of milk, now empty.
She has folded
Them back into her body as petals
Of a rose close when the garden
Stiffens and odors bleed
From the sweet, deep throats of the night flower.
The moon has nothing to be sad about,
Staring from her hood of bone.
She is used to this sort of thing.
Her blacks crackle and drag.