Carlo Emilio Gadda, La Cognizione del dolore, Torino, Einaudi...
Dietro domanda del medico elencò le sue sofferenze recenti, le solite. Il medico dondolò il capo e disse di volerlo visitare. Salirono al piano delle camere, lui avanti. Entrarono in una camera grande a pareti scialbate di giallino, con due finestre, di cui una chiara, aperta sulle robinie, sulle cicale , e due letti. I monti del settentrione. Quasi nero, a travi ed assi, il soffitto: verniciato con l'olio di lino in una tinta affumata, com’era l’uso di Spagna, un tempo.
Il
figlio si liberò della giacca, si sdraiò sul letto più interno, il suo: di coltre bianchissima, come l’altro, di pesante noce: tantoché il tarlo vi si udiva cigolare a fatica, con un giro duro e breve, di cavatappi, dopo stanchi intervalli. Su quel candore conventuale il lungo corpo e la eminenza del ventre diedero una figurazione di ingegnere-capo decentemente defunto, non fossero stati il colorito del volto, e anche lo sguardo e il respiro, a prevalere sulla immobilità greve della testa; che affondò un poco nel cuscino, bianco e rigonfio, tutto svoli. Subito la linda frescura di quello nobilitò la fronte, i capegli, il naso: si sarebbe pensato ad una maschera, da dover consegnare alle gipsoteche della posterità. Era invece la faccia dell’unico Pirobutirro maschio vivente che guardava alle travi del soffitto. Orizzontale sul bianco.
(...)
La visita fu «coscienziosa». Il dottore palpò l’ingegnere a lungo, e anche a due mani, come a strizzarne fuori le budella: pareva una lavandaia inferocita sui panni, alla riva d’un goriello; poi, mollate le trippe, l’ascoltò un po’ per tutto, saltellando in qua e in là, con il capo e cioè con l’orecchio, pungendolo e vellicandolo con la barba. Poi gli mise lo stetoscopio sul cuore e sugli apici: per gli apici, sia davanti che dietro.
Alternò l’auscultazione con la percussione digitale e digito-digitale, tanto i bronchi e i polmoni che, di nuovo, il ventre. Gli diceva: «si volti»: e di nuovo: «si rivolti». Nell’ascoltarlo dalla schiena quando era seduto sul letto e tutto inchinato in avanti, con il gonfio e le pieghe del ventre in mezzo ai femori, a crepapancia, e tra i ginocchi la faccia, la camicia arrovesciata al di sopra il capo come da un colpo di vento, oppure sdraiato bocconi, mezzo di sbieco, mutande e pantaloni senza più nesso, allora il dottore aveva l’aria di comunicargli per telefono i suoi desiderata;
gli fece dire parecchie volte trentatré, trentatré; ancora trentatré. All’enunciare il qual numero l’ingegnere si prestò di buona grazia, col viso tra i ginocchi.
Con questo, la visita ebbe termine.
Dalla finestra aperta la luce della campagna; screziata di quella infinita crepidine.