venerdì 22 agosto 2014
mercoledì 20 agosto 2014
Beckett, Neither
Neither
libretto per la musica di Morton Feldman
di Samuel Beckett
Né – uno – né – l’altro
avanti indietro nell’ombra dall’ombra interna a quella esterna
dall’io impenetrabile all’impenetrabile non – io tramite né – uno – né – l’altro
come tra due rifugi illuminati le cui porte una volta stavano dolcemente vicine, una volta distolte dal separarsi ancora
dolcemente
chiamato e richiamato e rispedito via
incurante del cammino, intento a questo bagliore o all’altro
inavvertito rumore di passi unico suono
poi finalmente fermo davvero, davvero assente da sé e dall’altro
allora nessun suono
allora dolcemente la luce imperitura su quell’inavvertito né – uno – né – l’altro
dimora indicibile
domenica 17 agosto 2014
Mark Strand, Quasi invisibile
Notturno del poeta che amava la luna
Mi sono stancato della luna, stancato di quell’aria attonita, del ghiaccio azzurro del suo sguardo, dei suoi arrivi e delle sue partenze, del modo in cui avviluppa amanti e solitari sotto le sue ali invisibili, senza saperli distinguere. Mi sono stancato di così tante cose che un tempo mi incantavano, sono stanco di guardare l’ombra delle nuvole passare sull’erba illuminata dal sole, di vedere i cigni che scorrono avanti e indietro sul lago, di scrutare nel buio, sperando di trovare l’immagine di un sé ancora non nato. Lasciamo che la semplicità penetri l’occhio, semplicità come un tavolo su cui non è apparecchiato niente, come un tavolo che ancora non è nemmeno un tavolo.
Nocturne of the Poet Who Loved the Moon
I have grown tired of the moon, tired of its look of astonishment, the blue ice of its gaze, its arrivals and departures, of the way it gathers lovers and loners under its invisible wings, failing to distinguish between them.
I have grown tired of so much that used to entrance me, tired of watching cloud shadows pass over sunlit grass, of seeing swans glide back and forth across the lake, of peering into the dark, hoping to find an image of a self as yet unborn. Let plainness enter the eye, plainness like a table on which nothing is set, like a table that is not yet even a table.
(Traduzione di Damiano Abeni, dalla raccolta Quasi invisibile, Mondadori 2014)
I have grown tired of so much that used to entrance me, tired of watching cloud shadows pass over sunlit grass, of seeing swans glide back and forth across the lake, of peering into the dark, hoping to find an image of a self as yet unborn. Let plainness enter the eye, plainness like a table on which nothing is set, like a table that is not yet even a table.
(Traduzione di Damiano Abeni, dalla raccolta Quasi invisibile, Mondadori 2014)
sabato 16 agosto 2014
Case-volti
«Mi rimangono le case in cui sono stato felice, dove ho assistito alla bellezza, alla bontà, dove ho vissuto pienamente. Guardo la fisionomia delle abitazioni come se fossero volti, torno a esse con l’immaginazione, salgo scale, apro porte e contemplo quadri. Non so se gli uomini siano troppo ingrati con le case, o se la mia gratitudine nei loro confronti sia una forma di nevrosi.
Il fatto è che amo i luoghi dove ho incontrato un minuto di pace, non li dimentico mai, li porto con me e conosco la loro essenza intima, il mistero ansioso di rivelarsi che abita in ogni parete.
Sono certo che le case cerchino di parlare, di farsi amare, e a volte mi spiego i fantasmi: come non ritornare dalla morte, a visitare le case amate? Io sarò un fantasma infaticabile».
Julio Cortàzar
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