Jacques Derrida, Sulla parola, Roma, Nottetempo 2004
Demeurer è un verbo francese di un’estrema molteplicità. In origine demeurer significa “rimandare a più tardi”, indica il differito, la dilazione determinata anche in termini di diritto.
La questione del ritardo mi ha sempre occupato e non opporrei il sopravvivere alla morte. Mi è capitato anche di definire il sopravvivere come una possibilità differente o estranea tanto alla morte che alla vita, come un concetto originale. Quello del sopravvivere è un concetto che non deriva da alcunché. Vi è sopravvivenza da che vi è traccia, in altre parole il sopravvivere non è un’alternativa alla morte o alla vita, è un’altra cosa. Non so se sopravvivere sia un imperativo categorico, credo che sia la forma stessa dell’esperienza e del desiderio ineluttabile. Sopravvivere è ineluttabile persino attraverso la morte o attraverso l’esperienza dell’anticipazione della morte, in ogni caso tutto ciò che ha potuto trattenermi attraverso tanti
e tanti testi sulla morte non è mai stato contrario alla vita. Non ho mai potuto pensare il pensiero della morte o l’attenzione alla morte, se non addirittura l’attesa o l’angoscia della morte come altra cosa rispetto all’affermazione della vita. Sono due movimenti per me inseparabili: un’attenzione di ogni istante all’imminenza della morte che non è necessariamente triste, negativa o mortifera ma al contrario, per me, la vita stessa, la più grande intensità di vita.
(p.65-66)
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