George Perec, Un uomo che dorme, Quodlibet 2009
Si fa notte. Sfreccia raramente qualche automobile. La goccia d'acqua stilla dal rubinetto nel pianerottolo. Il tuo vicino è silenzioso, forse assente, oppure già morto. Sei disteso sulla panca tutto vestito, le mani incrociate dietro la nuca e le ginocchia sollevate. Chiudi gli occhi, li apri. All'interno dell'occhio, o sulla superficie della cornea, forme virali, microbiche, scarrocciano dall'alto in basso, spariscono, e ritornano repentinamente al centro leggermente modificate: sembrano dischi, bolle, pagliuzze, filamenti ritorti il cui assemblaggio disegna i vaghi tratti di un animale mitologico. Ne perdi le tracce, li ritrovi; ti sfreghi gli occhi e i filamenti esplodono, moltiplicandosi.
Lungo il corso delle ore, dei giorni, delle settimane e delle stagioni ti disamori di tutto, ti distacchi da tutto. (...)
Sei invisibile, limpido, trasparente. Non esisti più: il susseguirsi delle ore, il susseguirsi dei giorni, il passare delle stagioni, lo scorrere del tempo, sopravvivi, senza allegria e senza tristezza, senza futuro e senza passato, così, semplicemente, in modo evidente, come una goccia d'acqua che stilla da un acquaio su un pianerottolo, come sei calze in ammollo dentro una bacinella di plastica rosa, come una mosca, come un'ostrica, come una mucca, come una lumaca, come un bambino o come un vecchio, come un topo.