Robert Walser, La passeggiata, Adelphi,
Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada. Sulle scale mi venne incontro una donna dall’aspetto di spagnola, di peruviana o di creola, che ostentava non so quale pallida e appassita
maestà.
Per quando mi riesce di ricordare, appena fui sulla strada soleggiata mi sentii in una disposizione d’animo avventurosa e romantica, che mi rese felice.
Il mondo mattutino che mi si stendeva innanzi mi appariva così bello come se lo vedessi per la prima volta.
Tutto ciò che scorgevo mi dava una piacevole impressione di affettuosità, di bontà, di gioventù.
In breve dimenticai che fino a poco prima, su nella mia stanzetta, ero rimasto ad almanaccare tetramente su un foglio bianco.
Mestizia, dolore e tutti i pensieri cupi erano come scomparsi, sebbene continuassi a percepire acutamente, dinanzi e dietro di me, una certa nota grave. (...)
Beppe Sebaste, La passeggiata, Manni 2009
Tutta questa astratta vicenda si svolse nel corso di una passeggiata mattutina.
Il vecchio scrittore camminava in una strada del suo quartiere di Parigi, in mano reggeva una borsa di plastica con dentro il pane, il giornale, forse dei libri, e dentro di sè rimuginava delle frasi al ritmo lento dei passi. Sopra la testa, appeso al cielo azzurro, un treno di nuvole bianche correva più forte del metrò, e quando il sole rispuntò al termine di quella corsa vaporosa, le frasi, combinatesi assieme, tratteggiavano quasi riconoscibile il profilo di una storia. (...)