Sermone ai cuccioli della mia specie
Cari cuccioli, vi ho guardato a lungo. Ero lì nascosta nel buio e vi guardavo giocare, nascosta nel buio come una carogna, come una spia che studia il nemico, come un ladro che aspetta il momento buono, come un terrorista che guarda a distanza e fa i suoi piani d’innesco. Io vi guardavo ammutolita, intenerita da voi, cari cuccioli della mia specie, e poi anche disgustata da voi che eravate lì inermi a un palmo dal mio naso.
Siete indeboliti cuccioli. Siete spaventati e soli. Siete avidi. Siete sazi. Siete svuotati. Sfiniti siete. Siete vinti.
Io vi guardavo da una quasi nausea, da tutto quel buio: ricordavo un’antica infelicità d’infanzia, un’antica paura. ricordavo bene quell’essere fra gli altri, spersa, sola. La mia paura me la ricordavo, guardando la vostra. Ricordavo bene il mio sguardo, come se lo avessi sempre visto da fuori: sbigottito, quasi non ci credevo d’essere in questo mondo, non me lo spiegavo, il mondo, non mi raccapezzavo. Come precipitata ero, dalle altezza caduta molto giù, molto di lato, nel mondo degli uomini e delle donne. Nel mondo delle case di mattoni. Nel mondo dove si lavora e si mangia e si dorme e si fa la cacca ogni giorno e ogni giorno si fa la pipì tante di quelle volte e si mangia e si dorme e ci si lava la faccia.
Da dentro quello sguardo, chiusa lì dentro nella mia fortezza io guardavo il mondo dei grandi e provavo una grande pietà. Io li sentivo che piangevano dentro. Sentivo che non ce la facevano. Li sentivo gridare dentro. Con muri dentro, con scarafaggi e muffe, dentro. E un giorno, quando ero molto piccola, ho fatto un giuramento, un giuramento infante, senza le parole, ma chiarissimo e sonante: io me li prendo tutti nel petto e li scampo, li porto in salvo.
Ho giurato così, senza dire neanche una di queste parole, ma con tutte queste parole più forti cento volte. Nel mio letto, vicino al grande armadio con lo specchio, fra le sponde altre di legno, con la sorella vicina che tossiva, giuravo forse ogni notte, per quella tosse, per la faccia stanca del mio babbo, e per tutte le facce dei grandi, coi loro segni come di grande pena. Una bambina nel suo letto ha fatto il giuramento, recitato la formula che salva, forse ha vinto sulla morte e sul mondo.
Aspettavo il giorno in cui mi avrebbero detto il grande segreto. Sentivo, lo sapevo, che dietro al loro non dire niente si nascondeva la grande verità. Sentivo, lo sapevo, che loro sapevano tutto quello che io non sapevo. Sentivo che un giorno me lo avrebbero detto e io avrei capito il mondo e non avrei sofferto come loro, perché loro stavano già soffrendo anche per me. Sentivo e aspettavo.
Poi molto piano, molto in ritardo, molto piano, millimetro dopo millimetro, in un lavorio di tic tac e minuti molto piccoli, piano piano, sono passata di là, sono caduta del tutto nel mondo, appiattita, schiacciata al suolo in un lento atterraggio.
Adesso, cari cuccioli, io sono grande. Sono molto grande. Sono quello che mai e poi mai avrei voluto essere: una persona grande. Adesso io sono dei loro. Adesso lontanissima sono dai miei favolosi sette anni, quando ero un genio buono, uscito da poco dalla lampada, e un filosofo ero, ma senza le parole, un grandioso poeta analfabeta, un artista senz’arte.
Adesso da qui, da questo esilio duro, da questo corpo con peso, da questa mente complicata, da questa mente ingombrante, da qui, da questo buio che è tutto il mio, da qui vi guardo, adorandovi. Vi chiedo aiuto. Una parte di me vi supplica, vi implora, vi chiede aiuto e aiuto. Adesso tocca a voi salvarmi, fare il giuramento. Potrete? Ci riuscirete? Mi sentite? Sentite?
Dicono che siete rotti. Siete sazi, dicono. Corrotti. Rovinati siete, come tutto il resto. Anche voi nella lista lunga delle perdite: l’acqua, l’aria, il silenzio, il pudore… Anche voi. Stuprati siete, rotti. Vecchissimi e troppo stanchi per l’infanzia. Scarichi. Vuoti.
Allora adesso imparate. Imparate l’odore dei nemici potenti. Sbranate, cuccioli, le loro mani piene. Scassate le loro tane come galere. Sputare sui loro piatti. incendiate le stanze gonfie di giocattoli, scappate, morsicate, tirate pietre sui televisori, scalciate, spaccate questo micidiale nostro sogno, l’inesauribile bisogno di confort, fateci a pezzi, scancellate noi, puniteci per aver fatto di voi le nostre miniature, per avervi disinnescati, resi innocui, per non avervi ascoltati, nel vostro sommo sapere.
Voi che eravate le porte del regno dei cieli e chi non passava da voi non passava, voi che eravate purissima gioia, voi che eravate noi bloccati nella più grande bellezza, voi che somigliavate ai cuccioli degli altri animali, voi che capivate lo splendore misterioso degli animali, voi che dormivate un sonno perfetto e benedetto, voi che vi svegliavate ridendo, voi che facevate balletti strepitosi. Voi, nostre divintà domestiche.
Nascete ancora, cuccioli. Restate. Siate. Salvate. Giurate. Siate. Siate. Siate.