mercoledì 25 aprile 2007

Saltimbanchi

Jean Starobinski, Ritratto dell'artista da saltimbanco,
Torino, Bollati Boringhieri, 1984

Ogni vero clown vien fuori da un altro spazio, da un altro universo: il suo ingresso deve figurare un superamento dei confini del reale e, sia pure in un clima di assoluta bonomia, deve apparirci come uno spirito che torna. La porta attraverso cui egli penetra nell'arena non è meno fatidica della porta d'avorio di cui parla Virgilio, che i sogni ingannatori attraversavano provenendo dagli Inferi. La sua apparizione ha come fondale un abisso spalancato, dal quale si slancia su di noi. L'entrata del clown deve farci sentire quel "doloroso Nessun Luogo" evocato da Rilke, che è poi il luogo da cui il clown è partito, e che s'è ormai lasciato dietro le spalle. Per l'acrobata è assolutamente la stessa cosa: il "doloroso Nessun Luogo" gli sta sotto i piedi, e il passaggio si realizza davanti ai nostri occhi, nel momento del balzo, del salto pericoloso, dell'ostacolo superato.
(...)
In un mondo utilitaristico, attraversato dal reticolo fitto delle relazioni significanti, in un universo pratico nel quale ogni cosa viene investita d'una funzione e di un valore d'uso o di scambio, l'entrata del clown fa saltare alcune maglie della rete, e nella pienezza soffocante dei significati
ammessi apre una breccia per la quale potrà spirare un vento d'inquietudine e di vita. (...)
Così, proprio perchè è anzitutto assenza di significato, il clown attinge il significato supremo di contraddittore: nega tutti i sistemi d'affermazione preesistenti e introduce nella massiccia coerenza dell'ordine costituito il vuoto grazie a cui lo spettatore, staccato finalmente da se stesso, può ridere della propria pesantezza.