giovedì 31 maggio 2007

Dell'amore

Cecco Angiolieri, Rime, (a cura di G. Cavalli),
Milano: Bur, 1979, sonetto XLIX.


Qualunque giorno non veggio 'l mi' amore,
la notte come serpe mi travollo,
e sì mmi giro, che paio un bigollo,
tanta è la pena che sente 'l meo core.
Parmi la notte ben cento mili' ore,
dicendo: " Dio, sarà mma' dì, vedròllo? ";
e tanto piango, che tutto m'immollo,
ch' alcuna cosa m'aleggia 'l dolore.
Ed i' ne son da llei cosi cangiato:
ché 'nn-una [che]d e' giungo 'n sua contrada,
sì mmi fa dir ch'i' vi son troppo stato,
e ched i' voli, si ttosto me'n vada,
però ch'ell' ha 'l sul amor a ttal donato,
che per un mille più di me li aggrada.

martedì 29 maggio 2007

Della morte

"Le parole a cosa servono, - diceva. - I morti rimangono con la bocca aperta per esalare perfino l'ultima parola ch'è in noi. Quando non rimane in essi nemmeno una minima parola, è allora che i morti parlano alfine. Bisogna cominciare ad ascoltarli quando anche l'ultima parola è esalata dalla loro bocca. Ogniqualvolta una cosa è detta essa diventa un'altra cosa; e noi non dobbiamo combattere per la libertà che è detta ogni giorno da tutti e che ogniqualvolta è detta è un'altra cosa: ma per quella libertà che è al di là del confine di tutte le parole dette. Ciò che resta nei morti dopo che essi hanno esalato fino all'ultima tutte le parole nostre. Tu forse m'intendi”

Giorgio Caproni, Un discorso infinito, in
AA. VV., Racconti dalla Resistenza, Torino: Einaudi, 2005


“Il mondo ha un volto d’arsura
Per chi si ferma a morire»

Emily Dickinson, Tutte le poesie, Milano: A. Mondadori, Meridiani, 1997, n. 715.


“Mi sono abituata da gran tempo ad essere morta”

S. Freud, Delirio e sogni nella Gradiva di Jensen, in Saggi sull'arte, la letteratura, il linguaggio, Torino: Boringhieri, 1969

domenica 27 maggio 2007

Nina Berberova

Nina Berberova, Il giunco mormorante,
Milano: Adelphi, 1990, trad D. D'Elia

Fin dai primi anni della mia giovinezza, pensavo che ognuno di noi ha la propria no man's land, in cui è totale padrone di se stesso. C'è una vita a tutti visibile, e ce n'è un'altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. (...) Semplicemente, l'uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un'ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese; vive di questa sua vita libera e segreta da una sera (o da un giorno) all'altra, e queste ore hanno una loro continuità.Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell'uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine, ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la linea generale dell'esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non s'è mai incontrato con se stesso e c'è qualcosa di malinconico in questo pensiero. (...)
In questa no man's land, dove l'uomo vive nella libertà e nel mistero, possono accadere strane cose, si possono incontrare altri esseri simili, si può leggere e capire un libro con particolare intensità o ascoltare musica in modo anch'esso inconsueto, oppure nel silenzio e nella solitudine può nascere il pensiero che in seguito ti cambierà la vita, che porterà alla rovina o alla salvezza.
Forse in questa no man's land gli uomini piangono, o bevono, o ricordano cose che nessuno conosce, o osservano i propri piedi scalzi, o provano una nuova scriminatura sulla testa calva, oppure sfogliano una rivista illustrata con immagini di belle donne seminude e muscolosi lottatori - non lo so, e non lo voglio sapere. Da bambini e persino da giovani (come probabilmente anche da vecchi) non sempre avvertiamo il bisogno di quest'altra vita. Ma non bisogna credere che quest'altra vita, questa no man's land, sia la festa e tutto il resto i giorni feriali. Non per questa via passa la distinzione: solo per quella del mistero assoluto e della libertà assoluta.

(Nina Berberova:1901-1993 -l'edizione in russo del Giunco mormorante è del 1953)

mercoledì 23 maggio 2007

Gadda, Notte di luna

Carlo Emilio Gadda, Notte di luna,
in L'Adalgisa. Disegni milanesi, Torino, Einaudi, 1963


Un’idea, un’idea non sovviene, alla fatica de’ cantieri, mentre i sibilanti congegni degli atti trasformano in cose le cose e il lavoro è pieno di sudore e di polvere. Poi ori lontanissimi e uno zaffìro, nel cielo: come cigli, a tremare sopra misericorde sguardo. Quello che, se poseremo, ancora vigilerà. I battiti della vita sembra che uno sgomento li travolga come in una corsa precipite. Ci ha detersi la carità della sera; e dove alcuno aspetta, muoviamo: perché nostra ventura abbia corso, e nessuno la impedirà. Perché poi avremo a riposare.
Lucide magnolie specchiavano il lume delle prime gemme tremanti nel cielo: ma le ombre, frammezzo tutte le piante, si facevano nere.
La moltitudine delle piante pareva raccogliersi nell'orazione, siccome del giorno conchiuso doveva dirsi grazie ad Alcuno, a Chi ha disegnato gli eventi, il nero dei monti dentro la infinità buia della notte. Gli alti alberi, immersi più nella notte, pensavano per primi. E gli arbusti, poi, e gli alberi giovani, che ancora sono compagni delle erbe e ne aspirano da presso il malioso profumo: e le erbe folte e i cespi con turgidi fiori e tutti gli steli frammisti dell'arborea semenza riprendevano ancora quel pensiero che i grandi avevano inizialmente proposto.
(...)
Il vento, a folate, accorse dai crinali e dalle gole nere dei monti, ove un fragore è nel fondo. Sciogliendo la sua corsa verso l'aperto, vi respiravano a quando a quando, con un lento respiro, gli abeti: o i faggi dalle radici aggrovigliate. Così dei lontani si sa tutto, ed anche i dolori.

martedì 22 maggio 2007

Char, Pierres vertes

Renè Char, Le vicinanze di Van Gogh, Milano: SE, 2005,
a cura di Cosimo Ortesta

S'endormir dans la vie, s'éveiller par la vie, savoir la mort, nous laisse indigent, l'esprit rougé, les flancs meurtris.

Addormentarsi nella vita, svegliarsi con la vita, sapere la morte, ci lascia indigenti, smangiato l'animo, i fianchi straziati.

L'imprécision du temps a besoin, elle aussi, d'etre vécue. Comme l'accrue du mot.

L'imprecisione del tempo, anch'essa, ha bisogno di essere vissuta. Come il sedimentarsi della parola.

"Ma solitude, où tiens-tu mon désir enfoui?"

"Mia solitudine, dove tieni il mio desiderio sepolto?"

...Bergeronnette, bonne fete!

...Buona festa, ballerina!

sabato 19 maggio 2007

D. Walkott

Dereck Walkott, Mappa del nuovo mondo,
Milano: Adelphi, 1987, trad. G. Forti

Vivo sull'acqua,
solo. Senza moglie nè figli.
Ho circumnavigato ogni possibilità

per arrivare a questo: una piccola casa su acqua grigia,
con le finestre sempre spalancate
al mare stantio. Certe cose non le scegliamo noi,

ma siamo quello che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano, lasciamo
tante cose per via, fuorchè il bisogno

di fardelli. L'amore è una pietra
che si è posata sul fondo del mare
sotto acqua grigia. Ora, non chiedo nulla

alla poesia, se non vero sentire:
non pietà, non fama, non sollievo. Tacita sposa,
noi possiamo sederci a guardare acqua grigia,

e in una vita che trabocca
di mediocrità e rifiuti
vivere come rocce.

Scorderò di sentire,
scorderò il mio dono. E' più grande e duro
questo, di ciò che passa là per vita.

********
"L'amore con cui si rimettono a posto i frammenti di un vaso rotto è più forte di quello che ha creato la simmmetria che ne garantiva l'interezza"
(Dal Discorso per il conferimento del premio Nobel)

giovedì 17 maggio 2007

Beckett, bisbiglia

Samuel Beckett, Testi per nulla, XIII, in
Primo amore, Novelle, Testi per nulla, Torino:Einaudi 1982 trad. C. Cignetti

Non è vero, sì è vero, è vero e non è vero, è silenzio e non è silenzio, non c'è nessuno e c'è qualcuno, niente impedisce niente. E la voce, la vecchia voce languente, potrebbe finalmente tacere, e non sarebbe vero, come non è vero che parla, non può parlare, non può tacere. E se ci fosse anche un giorno qui, dove non ci sono giorni, in questo luogo che non è un luogo, l'infattibile essere, nato dall'impossibile voce, e un barlume di giorno, tutto sarebbe silenzioso e vuoto e buio, come adesso, come tra breve, quando tutto sarà finito, tutto detto, dice lei, bisbiglia.

www.samuelbeckett.it

lunedì 14 maggio 2007

Un burattino

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino,
Milano: Rizzoli 1949
Allora il burattino, perdutosi d'animo, fu proprio sul punto di gettarsi in terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all'intorno vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.
"Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo", disse dentro di sé.
E senza indugiare un minuto riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre dietro.
E dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di quella casina e bussò.
Nessuno rispose.
Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore dei passi e il respiro grosso e affannoso de' suoi persecutori.
Lo stesso silenzio. Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella porta.
Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall'altro mondo:
"In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti."
"Aprimi almeno tu!" gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.
"Sono morta anch'io."
"Morta? e allora che cosa fai costì alla finestra?"
"Aspetto la bara che venga a portarmi via".
Appena detto così, la bambina disparve, e la finestra si richiuse senza far rumore.
"O bella bambina dai capelli turchini, gridava Pinocchio; aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass..."
Ma non poté finir la parola, perché sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociaccie che gli brontolarono minacciosamente:"Ora non ci scappi più!"
(...)
Intanto che Pinocchio nuotava alla ventura, vide in mezzo al mare uno scoglio che pareva di marmo bianco: e su in cima allo scoglio, una bella Caprettina che belava amorosamente e gli faceva segno di avvicinarsi.
La cosa più singolare era questa: che la lana della Caprettina, invece di esser bianca, o nera, o pallata di due colori, come quella delle altre capre, era invece turchina, ma d'un color turchino sfolgorante, che rammentava moltissimo i capelli della bella Bambina.
Lascio pensare a voi se il cuore del povero Pinocchio cominciò a battere più forte! Raddoppiando di forza e di energia si diè a nuotare verso lo scoglio bianco: ed era già a mezza strada, quando ecco uscir fuori dall'acqua e venirgli incontro una orribile testa di mostro marino, con la bocca spalancata, come una voragine, e tre filari di zanne che avrebbero fatto paura anche a vederle dipinte.
(...)
Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo a quel buio, e cominciò a camminare a tastoni dentro il corpo del Pesce-cane, avviandosi un passo dietro l'altro verso quel piccolo chiarore che vedeva baluginare lontano lontano.
E nel camminare sentì che i suoi piedi sguazzavano in una pozzanghera d'acqua grassa e sdrucciolona, e quell'acqua sapeva di un odore così acuto di pesce fritto che gli pareva di essere a mezza quaresima.
E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato... che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca.
A quella vista il povero Pinocchio ebbe un'allegrezza così grande e così inaspettata, che ci mancò un ette non cadesse in delirio. Voleva ridere, voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido di gioia e spalancando le braccia e gettandosi al collo del vecchietto, cominciò a urlare:
- Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!-

venerdì 11 maggio 2007

Alice

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie
e Attraverso lo specchio, Torino: Einaudi, 1978, trad. R. Carano

Su quella bottiglia, comunque, non c'era scritto veleno, perciò Alice s'arrischiò ad assaggiarne il contenuto, e trovandolo molto gradevole (aveva infatti un gusto che era un misto di torta di ciliege, crema, ananas, tacchino arrosto, croccante e crostini imburrati) in breve lo scolò fino in fondo.
-Che strana sensazione! - disse Alice. - Forse mi sto accorciando come un telescopio!
(...)
Poco dopo i suoi occhi caddero su di una scatoletta di vetro sotto il tavolo; la aprì, e ci trovò dentro un biscotto piccolissimo, sul quale era scritta in belle lettere fatte di ribes la parola "MANGIAMI!". (...)
- Sempre più stranissimo! - gridò Alice (tanto stupita che lì per lì dimenticò come si parlava in buon italiano); -adesso mi sto allungando come il più gran telescopio mai esistito! Addio, piedi! -
(...) E continuò a pensare dentro di sè come risolvere la faccenda. "Devono viaggiare per corriere - pensò; - però sarà proprio buffo mandare regali ai propri piedi! E sembrerà curioso anche l'indirizzo!
All'illustrissimo Piede Destro di Alice
Tappeto davanti al Caminetto
presso il Parafuoco (da Alice con tanto affetto)

martedì 8 maggio 2007

Claudio Magris, Essere già stati

in Nadine Gordimer, Storie, Milano: Feltrinelli, 2005

E così Jerry è morto, pazienza, non è questo il guaio, né per lui né per nessuno, neanche per me che l'ho amato e dunque l'amo, perché l'amore non si coniuga - diomio, in quel senso sì, certo, ci mancherebbe altro, però l'amore ha la sua grammatica e non conosce tempi ma solo modi verbali, anzi uno solo, l'infinito presente, quando si ama è per sempre e via tutto il resto. Qualsiasi amore, di qualsiasi tipo. Non è vero che ti passa, niente ti passa, e proprio questo è spesso una bella disgrazia, ma te la porti dietro con te, come la vita, che anche quella non è che sia proprio una fortuna, solo che l'amore passa ancora meno che la vita, è là, come la luce delle stelle, chi se ne frega se sono vive o morte, splendono punto e basta e anche di giorno non le vedi ma sai che ci sono.
(...)
Ah, la modestia, la leggerezza di essere stati, quello spazio incerto e cedevole dove tutto è lieve come una piuma, contro la presunzione, il peso, lo squallore, lo sgomento di essere! Per carità, non parlo di nessun passato e tantomeno di nostalgia, che è stupida e fa male, come dice la parola, nostalgia, dolore del ritorno. Il passato è orrendo, noi siamo barbari e cattivi, ma i nostri nonni e bisnonni erano selvaggi ancor più feroci. Non vorrei certo essere, vivere alla loro epoca. No, dico che vorrei essere sempre già stato, esonerato dal servizio militare di esistere.
(...)
Essere fa male, non dà tregua. Fa' questo, fa' quest'altro, lavora, lotta, vinci, innamorati, sii felice, devi essere felice, vivere è questo dovere di essere felici, se no che vergogna. Sì, ce la metti tutta per obbedire, per essere bravo e buono e felice come è il tuo dovere, ma come si fa?, le cose ti cascano addosso, l'amore ti piomba sulla testa come un cornicione dal tetto, una brutta botta o peggio, cammini rasente ai muri per scansare quelle automobili impazzite ma i muri sono sbrecciati, pietre aguzze e vetri che ti scorticano e ti fanno sanguinare, sei a letto con qualcuno e per un attimo capisci cosa potrebbe e dovrebbe essere la vita vera ed è uno schianto insostenibile - raccogliere i vestiti buttati a terra, rivestirsi, via, uscire, per fortuna lì vicino c'è un bar, che buona cosa un caffè o una birra.
(...)
Ogni epilogo è felice, perché è un epilogo. Vai sul balcone, un po' di vento passa tra i gerani e le viole del pensiero, una goccia di pioggia scivola sul viso, se piove più forte ti piace ascoltare il tambureggiare dei goccioloni sulla tenda, quando cessa vai a fare due passi, scambi qualche parola col vicino che incontri sulle scale, né a lui né a te importa cosa dite ma è piacevole intrattenersi un momento e dalla finestra del pianerottolo vedi laggiù, in fondo, una striscia di mare che il sole, uscito dalle nuvole, accende come una lama. "La settimana prossima andiamo a Firenze," dice il vicino. "Ah sì, bello, ci sono già stato."

www.sagarana.it

sabato 5 maggio 2007

Teatro Valdoca

Mariangela Gualtieri, Fuoco centrale,
Bologna: I Quaderni del Battello Ebbro, 1995

Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,
io sono sempre cinque minuti fa, il mio dire è fallimentare,
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all'essere e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire

io sono senza aggettivi, io sono senza predicati,
io indebolisco la sintassi, io consumo le parole,
io non ho parole pregnanti, io non ho parole
cangianti, io non ho parole mutevoli,
io non disarticolo, non ho parole perturbanti,
io non ho abbastanza parole, le parole mi si
consumano, io non ho parole che svelino, io non ho
parole che riposino,
io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza
parole, mai abbastanza parole
(...)

http://www.teatrovaldoca.it

venerdì 4 maggio 2007

Polimnia

Piero Boitani, Prima lezione sulla letteratura, Bari:Laterza, 2007

Si tratta di una fanciulla minuta in marmo bianco , di altezza naturale. E' in piedi, chinata appena in avanti, appoggiata su entrambi i gomiti, a un supporto che si alza da terra. Da sotto il mento fino a poco sopra le caviglie ha il corpo completamente fasciato da una tunica ampia, che si avvolge in mille pieghe armoniose. Il capo è leggermente sollevato in avanti, una mano regge il mento nella posa tipica di chi sta pensando.
(...)
La statua risale al primo periodo antonino, al II sec dopo Cristo. E' romana, ma la sua eleganza fa sospettare un artista di arte greca, forse uno di quelli cui l'imperatore Adriano, appassionato cultore d'ogni cosa ellenica, ha commissionato sculture di tutti i tipi per la sua villa presso Tivoli. Rappresenta una Musa, e più precisamente Polimnia, la Musa, secondo gli Inni Orfici, del racconto. (...)
Polimnia, questa Polimnia, è la mia immagine della letteratura.
(...) Morire - stupire ed essere - compatire - rinascere. Se, in una prima lezione, riuscissi a far comprendere ai miei ascoltaotri che la letteratura sa far questo, sa compiere un cammino del genere, li avrei avviati sulla strada della redenzione...

mercoledì 2 maggio 2007

Ipocondria

Franco Arminio, Circo dell'ipocondria, Firenze: Le Lettere, 2006

C’è la luce dei giorni e c’è la luce della notte. Fuori la luce ha un certo modo di essere presente o di essere assente. Nel nostro mondo interno c’è sempre una certa luminosità. Senza questa luminosità interiore non sarebbe possibile girare e vedere il film dei nostri sogni, "il cinema naturale della mente". Fuori le fonti della luce sono chiare. Dentro non sappiamo da dove venga la luce e come si forma, non conosciamo la sua velocità. Possiamo ipotizzare che la nostra sia una luce lenta. Perché deve muoversi nell’opacità degli organi. Il cervello è forse il più trasparente degli organi; un pezzo di cervello (gli occhi) sporge addirittura fuori, è il nostro litorale, il punto di tangenza tra le nostre schiume e la sabbia del mondo.
Vivo in un luogo ventoso e mi sembra che qui l’aria entri dalle orecchie più che altrove. E con l’aria entra anche luce. Forse vivere in un posto ventoso condiziona lo stato di luminosità interiore? Questo stato non ha regole, non ha albe e tramonti ad ore fisse, ha crepuscoli e aurore del tutto personali. Un mio amico dice di esser morto da molto tempo. Pare che in lui se ne sia andata la luce. Aver perso i suoi genitori gli ha svitato la lampadina ed ora lui vive al buio, una condizione molto simile a quella che presumiamo sia la condizione della morte.
La luce può andarsene e può venire. Forse l’innamoramento è una particolare condizione di lucore, una condizione così particolare che ci fa vedere l’altro che non c’è, che non ci sarà mai. Senza questa luce interiore non sarebbero possibili le allucinazioni, non sarebbe possibile la scrittura poetica. Cos’è l’ispirazione se non un inspirare dagli occhi una certa quantità di luce e poi lasciarla fluttuare dentro di noi, magari fino a vedere la morte e l’infinito che abbiamo sullo sfondo, come dice un altro mio amico? Per scrivere non serve l’intelligenza del pensiero ma quella degli occhi. Pensare per immagini dà vita alla farmacopea della parola. A volte le immagini svaniscono. La luce se ne va, non vediamo più niente. Ma poi la luce torna, e torniamo a vagabondare dietro una chimera.

***
Ciò che non viene detto ha la vita più forte, perchè ogni dire ed ogni accennare toglie qualcosa all'oggetto, lo intacca, e così lo diminuisce. Così scriveva Robert Walser in un a lettera all'amica Frieda Mermet.

***
Sulle montagne dei miei nervi
nevica e tira vento.
Da qui guardo la calma, la pianura
il fiore nero della sepoltura.

martedì 1 maggio 2007

Pontremoli- Ballata

Giuseppe Pontremoli, Ballata per tutto l'anno e altri canti,
Roma: Nuove Edizioni Romane, 2004, illustrazioni di Octavia Monaco

Maggio

Vogliamo che le case
nel mese della gioia
sian piene di colori
e di profumi ardenti
saluterem la luna
e il cielo che l'ingoia
canteremo l'amore
coi visi più contenti.

Octavia Monaco

www.octaviamonaco.it