martedì 29 dicembre 2009

Alexander Calder, Mobile

Un mobile in movimento lascia dietro di sè una scia invisibile, o meglio, ogni elemento lascia una scia individuale dietro la propria singola presenza. A volte queste scie si contraggono una dentro l'altra, a volte invece sono visibili. (A. Calder)
Un mobile: una piccola festa privata, un oggetto definito dal proprio moto, senza il quale esso non esiste, un fiore che appassisce nel momento in cui si ferma, un puro gioco di movimento, come vi sono puri giochi di luce. Il mobile di Calder ondeggia, esita, si direbbe che sbagli e si corregga.
I mobiles sono al tempo stesso invenzioni liriche e combinazioni tecniche, quasi matematiche, ma anche il simbolo sensibile della Natura, di questa natura immensa e vaga, che sparge polline facendo alzare di colpo in volo mille farfalle, di cui non è mai dato sapere se sia una cieca concatenazione di cause e di effetti oppure lo sviluppo timido,  ritardato, disturbato, ostacolato di un'Idea. (J. P. Sartre)

martedì 22 dicembre 2009

La neve




 Come pesa la neve su questi rami
Come pesano gli anni sulle spalle che ami.
L'inverno e' la stagione piu' cara,
Nelle sue luci mi sei venuta incontro
Da un sonno pomeridiano, un'amara

                                         Ciocca di capelli sugli occhi.
                                    Gli anni della giovinezza sono anni lontani.

  

                                                                       Attilio Bertolucci

sabato 12 dicembre 2009

Gadda, la visita del dottore

Carlo Emilio Gadda, La Cognizione del dolore, Torino, Einaudi... 


Dietro domanda del medico elencò le sue sofferenze recenti, le solite. Il medico dondolò il capo e disse di volerlo visitare. Salirono al piano delle camere, lui avanti. Entrarono in una camera grande a pareti scialbate di giallino, con due finestre, di cui una chiara, aperta sulle robinie, sulle  cicale , e due letti. I monti del settentrione. Quasi nero, a travi ed assi, il soffitto: verniciato con l'olio di lino in una tinta affumata, com’era l’uso di Spagna, un tempo.
Il figlio si liberò della giacca, si sdraiò sul letto più interno, il suo: di coltre bianchissima, come l’altro, di pesante noce: tantoché il tarlo vi si udiva cigolare a fatica, con un giro duro e breve, di cavatappi, dopo stanchi intervalli. Su quel candore conventuale il lungo corpo e la eminenza del ventre diedero una figurazione di  ingegnere-capo decentemente defunto, non fossero stati il colorito del volto, e anche lo sguardo e il respiro, a prevalere sulla immobilità greve della testa; che affondò un poco nel cuscino, bianco e rigonfio, tutto svoli. Subito la linda frescura di quello nobilitò la fronte, i capegli, il naso: si sarebbe pensato ad una maschera, da dover consegnare alle gipsoteche della posterità. Era invece la faccia dell’unico Pirobutirro maschio vivente che guardava alle travi del soffitto. Orizzontale sul bianco.
(...)
La visita fu «coscienziosa». Il dottore palpò l’ingegnere a lungo, e anche a due mani, come a strizzarne fuori le budella: pareva una lavandaia inferocita sui panni, alla riva d’un goriello; poi, mollate le trippe, l’ascoltò un po’ per tutto, saltellando in qua e in là, con il capo e cioè con l’orecchio, pungendolo e vellicandolo con la barba. Poi gli mise lo stetoscopio sul cuore e sugli apici: per gli apici, sia davanti che dietro. Alternò l’auscultazione con la percussione digitale e digito-digitale, tanto i bronchi e i polmoni che, di nuovo, il ventre. Gli diceva: «si volti»: e di nuovo: «si rivolti». Nell’ascoltarlo dalla schiena quando era seduto sul letto e tutto inchinato in avanti, con il gonfio e le pieghe del ventre in mezzo ai femori, a crepapancia, e tra i ginocchi la faccia, la camicia arrovesciata al di sopra il capo come da un colpo di vento, oppure sdraiato bocconi, mezzo di sbieco, mutande e pantaloni senza più nesso, allora il dottore aveva l’aria di comunicargli per telefono i suoi desiderata; gli fece dire parecchie volte trentatré, trentatré; ancora trentatré. All’enunciare il qual numero l’ingegnere si prestò di buona grazia, col viso tra i ginocchi.
Con questo, la visita ebbe termine.
Dalla finestra aperta la luce della campagna; screziata di quella infinita crepidine.

martedì 17 novembre 2009

Antonia Pozzi

Tu lo vedi, sorella: io sono stanca,
stanca, logora, scossa,
come il pilastro d'un cancello angusto
al limitare d'un immenso cortile;
come un vecchio pilastro
che per tutta la vita
sia stato diga all'irruente fuga
d'una folla rinchiusa.
Oh, le parole prigioniere
che battono battono
furiosamente
alla porta dell'anima
e la porta dell'anima
che a palmo a palmo
spietatamente
si chiude!
Ed ogni giorno il varco si stringe
ed ogni giorno l'assalto è più duro.
E l'ultimo giorno
-- io lo so --
l'ultimo giorno
quando un'unica lama di luce
pioverà dall'estremo spiraglio
dentro la tenebra,
allora sarà l'onda mostruosa,
l'urto tremendo,
l'urlo mortale
delle parole non nate
verso l'ultimo sogno di sole.
E poi,
dietro la porta per sempre chiusa,
sarà la notte intera,
la frescura,
il silenzio.
E poi,
con le labbra serrate,
con gli occhi aperti
sull'arcano cielo dell'ombra,
sarà
-- tu lo sai --
la pace.

Antonia Pozzi, La porta che si chiude



Vedi il sito www.oblique.it e il suo blog   http://luccone.splinder.com/

domenica 8 novembre 2009

Paolo Nori, Da dietro

 Paolo Nori, Da dietro 

Anche secondo me delle volte ha ragione, Ghirri, le cose viste da dietro delle volte son più interessanti che viste da davanti. Mi viene in mente San Petronio, a Bologna, che da dietro a me sembra meraviglioso. Dal davanti è incompiuto, e un po’ si vede, ma in un certo senso è anche compiuto, l’han messo un po’ a posto, dopotutto ha una facciata, anche se diversa da quella progettata in origine, da dietro è talmente incompiuto che è ancora più bello che se fosse finito, credo. Un disastro, porta i segni di un disastro, mi viene da dire, ed è bellissimo, vedere che tutto è finito lì, all’improvviso, sembra di vedere il fulmine che è arrivato, sembra di veder lo stupore di quelli che ci lavoravano, c’è tutta una storia, lì dietro, c’è tutto, in un certo senso, perché non c’è tutto, perché manca un sacco di roba, e allora c’è tutto.

Dal suo blog: www.paolonori.it

venerdì 6 novembre 2009

Fabio Pusterla, le parentesi

Fabio Pusterla,Concessione all'inverno, Casagrande edizioni

Le parentesi

L'erosione
cancellerà le Alpi, prima scavando le valli,
poi ripidi burroni, vuoti insanabili
che preludono al crollo, gorghi. Lo scricchiolio
sarà il segnale di fuga: questo il verdetto.
Rimarranno le pozze, i montaruzzi casuali,
le pause di riposo, i sassi rotolanti,
le caverne e le piante paludose.
Nel Nuovo Mondo rimarranno, cadute
principali e alberi sintattici, sperse
certezze e affermazioni,
le parentesi, gli incisi e le interiezioni:
le palafitte del domani.

 SULL'AUTORE  

Riflessioni sulla poesia (i margini) di Fabio Pusterla



mercoledì 4 novembre 2009

Manganelli sulla scuola

Giorgio Manganelli, Improvvisi per macchina da scrivere, Adelphi 2003


"Non v’è dubbio che la scuola sia sempre un luogo insieme familiare e non amato, un luogo di fatica e di ore parte noiose e parte ansiose. Si può rendere la scuola un luogo amabile, divertente, un luogo di indimenticabili gioie dell’intelligenza giovanile, quella intelligenza che, alacre e curiosa, comincia a vivere? Ne dubito; vi è qualcosa di innaturale nella scuola dell’ultimo secolo, che non mi pare emendabile: dal modo di reclutare gli insegnanti, dalle bizzarrie degli orari, che giustappongono matematica e letteratura, arte e chimica, costringendo l’intelligenza dell’allievo ad una disponibilità distratta, priva di passione e di coinvolgimento
drammatico.
Lo stesso insegnante, vagabondo di aula in aula, vincolato ad orari e scadenze che non sceglie, non potrà ritrovare dentro di sé quella condizione che sola consente di consegnare agli altri qualcosa che ci appartiene nel profondo.
Nella scuola si amministrano senza gioia materie di gioia ... E poi, i voti! Quel desiderio impuro e corrotto di essere approvati, accettati, giudicati buoni; è un vizio che ci porteremo dietro tutta la vita, e sempre o cautamente mendicheremo il “voto” di qualcuno ...
Che Pinocchio abbia ragione, lo sentiamo nelle nostre viscere; ma vivere non significa avere ragione; significa aver torto. Se la scuola delude, se la scuola copre di noia discorsi densi di inesauribile letizia dell’anima, forse questo appunto è il suo compito: avviare il giovinetto incauto e ruvidamente allegro alla delusione di esistere. Tutti gli errori che si accumulano nella scuola formano, quasi per caso, una grande e difficile esperienza, un percorso obbligato, un labirinto nel quale si entra drammaticamente intensi come solo un fanciullo può essere, per uscire oscuramente offesi, pronti alle ulteriori offese a venire. Del tempo della scuola resterà nella nostra vita un’intensa memoria di volti senza tempo, di “compagni” e “compagne” insieme lontanissimi e indimenticabili; e la lunga fatica della scuola sarà tutt’uno con la lunga fatica di vivere"

sabato 31 ottobre 2009

Giorgio Morandi


"Bisogna amare molto il mondo, e le cose che ci sono nel mondo, anche le infime, e la luce e l' ombra che le rallegra o le incupisce, e la stessa polvere che le soffoca. Morandi ha capito, come sapevano i medievali, che "omnis mundi creatura - quasi liber et pictura - nobis est in speculum", ma senza per questo dover o voler tentare la via del simbolismo, per cui ogni creatura dice altro da sé. Il suo miracolo, la sua religiosità (vorrei dire) consiste nel fatto che egli ci ha aiutato a capire che "omnis mundi creatura" è grande e bella perché anzitutto ci racconta se stessa, e la materia di cui è fatta. E raccontandolo (o trovando qualcuno che la obbliga a raccontare) s' illumina." (Umberto Eco, Il mio primo Morandi )

martedì 27 ottobre 2009

Celan, E' tempo

Paul Celan, Papavero e memoria, Corona, da Tutte le poesie, Meridiani Mondadori 2000

Corona

Dalla mia mano l’autunno bruca la sua foglia: siamo amici
Sgusciamo il tempo dalle noci e gli insegniamo a camminare:
il tempo ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca profeta.

Il mio occhio scende sul sesso dell’amata:
ci guardiamo,
ci diciamo cose oscure,
ci amiamo l'un l'altra come papavero e memoria,
dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio di sangue della luna.

Stiamo abbracciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
E’ tempo che la pietra si decida a fiorire,
che l’inquietudine abbia un cuore che batte.
E’ tempo che sia tempo.

E’ tempo.


Corona

Aus der Hand frißt der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde.
Wir schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehn:
die Zeit kehrt zurück in die Schale.

Im Spiegel ist Sonntag,
im Traum wird geschlafen,
der Mund redet wahr.

Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der Geliebten:
wir sehen uns an,
wir sagen uns Dunkles,
wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis,
wir schlafen wie Wein in den Muscheln,
wie das Meer im Blutstrahl des Mondes.

Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Straße:
es ist Zeit, daß man weiß!
Es ist Zeit, daß der Stein sich zu blühen bequemt,
daß der Unrast ein Herz schlägt.
Es ist Zeit, daß es Zeit wird.

Es ist Zeit.

venerdì 16 ottobre 2009

Vittorio Sereni, Frammenti di una sconfitta

Vittorio Sereni, Frammenti di una sconfitta, Poesie, BUR

Accadeva come dopo certi sogni. Un amore perduto o un altro ritenuto impossibile o funesto appaiono. Oppure si tratta dell’ immagine di persona estranea che d’ un tratto, nel sogno, si scioglie in gesti e parole che la fanno amare. Non che al risveglio si corra in cerca di lei o che qualcosa muti, della vita, per questo, ma dal sogno

un’ acuta dolcezza si prolunga nel giorno e di essa si è vivi.


venerdì 9 ottobre 2009

Daniello Bartoli, Chiocciole

Daniello Bartoli (1608-1685)Chiocciole, in La ricreazione del Savio, Guanda, 1992

"...E non s'è egli mostrato sommamente ammirabile Iddio nel variare in cento e più diverse maniere il circolarsi e ravvolgersi d'una chiocciola in sé stessa? Puossi dir cosa più eguale, più determinata e più semplice, e pur nelle mani sue divenuta capevole di sì grand'arte?
Alcune si girano con volute, campate l'una fuori dell'altra appunto come se si attorcigliassero intorno a un fuso: e procedendo in lungo assottigliano e fino in punta digradano con ragione.
Altre, all'opposto, tutte in loro stesse ritornano; e dicami Archimede, che sì ingegnosamente ne scrisse: chi insegna loro a condurre una linea in ispira, sì perfettamente che in nulla non ismisuri? Dicammi gli architetti, che tanto penano a disegnar con regola le volute, e pur non mai altro che false, mentre, per più non sapere, le compongono d'alcuna parte di circolo, e circolo elle non sono, avvegnaché circolari: chi ne ha infusa la regola alle chiocciole, nate maestre in un'arte di cui essi ancor non si veggono buoni discepoli?
Di queste poi, quelle che chiaman veneree, e le in parte lor somiglianti, nulla mostran di fuori come s'attorcano, ma, ricoverte d'un nicchio che parte s'inarca e parte spiana, quivi entro s'avviluppano sì che punto non pare.
Altre, da un grosso capo tutto incoronato o di merli o di pennacchini o d'una cresta che serpeggia intorno, van giù a poco a poco mancando fino a stringersi come un paleo.
Altre covano alquanto, e sembra che portino cupolette e capannucci l'un sopra l'altro.
Ve ne ha delle schiacciate, delle ritonde, delle increspate, delle distese e aperte, delle tutte in loro medesime aggomitolate.
Ma in qualunque foggia diverse o, come sogliam dire, cavate di fantasia, tutte con decoro, con avvenenza, con garbo, tal che di mille che ne avrete davanti non saprete qual sia la più ingegnosamente foggiata: e dico anche, se pur è da dirsi, le lavorate ad opera strapazzata, ché quel medesimo in che sembrano incolte è negligenza ad arte, per far vedere una deformità con grazia, una rozzezza con maestà, un mostro, ma di bellezza.

L'intero testo si trova in: http://www.intratext.com/IXT/ITA1839/

sabato 26 settembre 2009

Erri De Luca, Consiglio

Erri De Luca, L'ospite incallito, Einaudi 2009

Consiglio

Fai come il lanciatore di coltelli, che tira intorno al corpo.
Scrivi amore senza nominarlo, la precisione sta nell'evitare.
Distraiti dal vocabolo solenne, già abbuffato,
punta al bordo, costeggia.
Il lanciatore di coltelli tocca da lontano,
l'errore è di raggiungere il bersaglio, la grazia è di mancarlo.


giovedì 3 settembre 2009

Hiroshige (a Roma)

Gufo su un acero sotto la luna piena

Fiori di iris a Horikiri










Utagawa Hiroshige (1797-1858)

domenica 30 agosto 2009

Passeggiate 1 : Walser, Sebaste

Robert Walser, La passeggiata, Adelphi,

Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada. Sulle scale mi venne incontro una donna dall’aspetto di spagnola, di peruviana o di creola, che ostentava non so quale pallida e appassita
maestà.
Per quando mi riesce di ricordare, appena fui sulla strada soleggiata mi sentii in una disposizione d’animo avventurosa e romantica, che mi rese felice.
Il mondo mattutino che mi si stendeva innanzi mi appariva così bello come se lo vedessi per la prima volta.
Tutto ciò che scorgevo mi dava una piacevole impressione di affettuosità, di bontà, di gioventù.
In breve dimenticai che fino a poco prima, su nella mia stanzetta, ero rimasto ad almanaccare tetramente su un foglio bianco.
Mestizia, dolore e tutti i pensieri cupi erano come scomparsi, sebbene continuassi a percepire acutamente, dinanzi e dietro di me, una certa nota grave. (...)

Beppe Sebaste, La passeggiata, Manni 2009

Tutta questa astratta vicenda si svolse nel corso di una passeggiata mattutina.
Il vecchio scrittore camminava in una strada del suo quartiere di Parigi, in mano reggeva una borsa di plastica con dentro il pane, il giornale, forse dei libri, e dentro di sè rimuginava delle frasi al ritmo lento dei passi. Sopra la testa, appeso al cielo azzurro, un treno di nuvole bianche correva più forte del metrò, e quando il sole rispuntò al termine di quella corsa vaporosa, le frasi, combinatesi assieme, tratteggiavano quasi riconoscibile il profilo di una storia. (...)

venerdì 28 agosto 2009

Luce in Dante

Osip Mandelstam, Conversazioni su Dante, Il melangolo 1994


“...questa è la legge della materia poetica, materia che è convertibile e sempre in via di convertirsi, che esiste solo nello slancio dell’esecuzione”

“...le similitudini dantesche non sono mai descrittive, cioè puramente figurative. esse hanno sempre il concreto scopo di rendere l’immagine interna della struttura e della tensione… un istitnto di pellegrinaggio, di viaggio, di colonizzazione, di migrazione”

“Ogni parola è un fascio di significati, e un significato affiora da esso per irradiarsi in varie direzioni, senza mai convergerei in un solo punto ufficiale. pronunciando sole, noi compiamo una sorta di enorme tragitto a cui siamo talmente abituati che viaggiamo immersi nel sonno. la poesia si distingue dal linguaggio automatico proprio in quanto ci sveglia e ci riscuote nel bel mezzo della parola .questa risulta allora molto più lunga di quanto pensassimo, e ci rammentiamo che parlare significa essere sempre in cammino.


Vedi in Google Books:


Paolo Bollini, Dante visto dalla luna, Dedalo 1994




giovedì 27 agosto 2009

Fari


Il faro di Pierres Noires si trova in Bretagna nell’Arcipelago della Molène
( Regione del Finistère, Francia), fa parte della categoria inferno in quanto controlla un pericoloso punto di mare caratterizzato da forti correnti che rendono la navigazione molto difficile; viene quasi sempre raffigurato inghiottito da violente onde che arrivano a coprirlo quasi interamente. Pierres Noires fa parte insieme a molti altri della Strada dei Fari, percorso che parte da Brest e arriva fino all’Isola di Ouessant.


Il fotografo Jean Guichard ha fotografato molti fari con il mare forza 10: vedi il suo sito suggestivo.
http://www.jean-guichard.com/


mercoledì 26 agosto 2009

Mazzucco, sulla Schwarzenbach

Annamarie Schwarzenbach, La gabbia dei falconi, Rizzoli, 2006, traduzione e cura di Melania Mazzucco.

Dalla postfazione:
"Il falcone è addestrato a catturare la preda, ma anche a riconoscere il richiamo del padrone, e a tornare a posarsi sul suo braccio. Nella poesia persiana, l'immagine del falcone che torna sul braccio del cacciatore era divenuta anche una metafora sul ritorno dell'anima alla sua origine. Il falcone è un cacciatore, ma anche, in qualche modo, un prigioniero. E' libero, ma non può andare davvero lontano: la sua esistenza si realizza nel suo ritorno".

"Rielaborare incessantemente le proprie esperienze, provare a leggere la propria vicenda nel contesto della Storia, tentare di dare un significato alla propria vita, lasciare la propria impronta nella polvere del tempo, seppellire nella sabbia un coccio di ceramica o una moneta d'oro che un giorno qualcuno esumerà: alla fine, forse, è proprio questo il senso di ogni letteratura"

martedì 25 agosto 2009

Mazzucco, un giorno perfetto

Melania G. Mazzucco, Un giorno perfetto, Rizzoli 2005

Maja, tanto cerebrale e mistica, la mattina, con una diligenza ammirevole, appuntava i sogni notturni in un quaderno segreto che custodiva nel cassetto della biancheria; sulla copertina c'era scritto Libro dei sogni. Una volta, a tradimento, lui l'aveva letto. I sogni di Maja, solo raramente erotici e comunque di una banalità stupefacente, lo avevano annoiato. Però Maja sosteneva di avere avuto il dono di interpretare i sogni - da ragazza, prima di mettersi con lui - e Elio ci credeva, perchè no? Le donne trafficano con l'aldilà, hanno qualcosa a che fare con il futuro e con la morte.
(...)
Non credo di averti mai incontrata a Parigi. E' un sogno, gli ho spiegato. A che ti serve annotare i sogni? ha detto lui. Sono solo i detriti del giorno.

Intervista video a Melania Mazzucco, festa dell'unità, sett 09


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venerdì 21 agosto 2009

Il mare, sotto


Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie chiuse tra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conghiglie, e nascoste fra grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l'acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s'odono le voci, ora lmentose, ora allegre.
Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d'essere un gabbiano, nè un delfino; mi accontenterei di essere uno scòrfano, ch'è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell'acqua.

Elsa Morante, L'isola di Arturo, Mondadori 1988


martedì 21 luglio 2009

Marcoaldi, Leggere e nuotare

Franco Marcoaldi, Leggere e nuotare, in Il tempo ormai breve, Einaudi 2009


Leggere e nuotare



Oggi ho letto l'intero libro di uno scrittore
amico, che amo tanto. Purtroppo pero`
non mi e` rimasto in testa niente.
E dal momento che concordo
con quello che lui stesso dice
- ovvero, che si scrive ( e si legge)
essenzialmente per capire -
allora tanto vale che passi
ad altro e decida di nuotare.

A lungo, lentamente respirando
regolarmente ogni tre bracciate alterne.
E via via che procedo nel nuoto,
mi domando: ma siamo poi cosi` sicuri
che ci sia davvero qualcosa
da capire? Non sara` che vivere,
in fondo, si riduce a questo?
Immergersi nell'acqua, tornare
in superficie e respirare?


ASCOLTA LA POESIA (DA RADIO3)


martedì 9 giugno 2009

Traccia


Disegnato da Meret Oppenheim nel 1936
(Meret, nata nel 1913, fece parte del movimento surrealista; è famosissima la sua opera
Dejeneur en fourrure che si trova al Moma)

sabato 6 giugno 2009

Wallace Stevens, l'Angelo della realtà

(grazie a Luca)



Io sono l'Angelo della realtà,
intravisto un istante sulla soglia.
Non ho ala di cenere, né di oro stinto,
né tepore d'aureola mi riscalda.
Non mi seguono stelle in corteo,
in me racchiudo l'essere e il conoscere.
Sono uno come voi, e ciò che sono e so
per me come per voi, è la stessa cosa.
Eppure, io sono l'Angelo necessario della terra,
poiché chi vede me vede di nuovo
la terra, libera dai ceppi della mente, dura,
caparbia, e chi ascolta me ne ascolta il canto
monotono levarsi in liquide lentezze e afferrare
in sillabe d'acqua; come un significato
che si cerchi per ripetizioni approssimando.
O forse io sono soltanto una figura a metà,
intravista un istante, un'invenzione della mente,
un'apparizione tanto lieve all'apparenza
che basta che io volga le spalle,
ed eccomi presto, troppo presto, scomparso.

Wallace Stevens, da Angel surroundend by paysans (traduzione di Nadia Fusini)


Leggi qui il saggio della Fusini L'alfabeto che uccide
(da La poesia e lo spirito)

martedì 2 giugno 2009

Céline, Bessy

Louis Ferdinand Céline, Da un castello all'altro, traduz. Massimo Rizzante (citato in un saggio di Milan Kundera)

«Non volevo farle una puntura… nemmeno darle un po’ di morfina … avrebbe avuto paura della siringa… non le avevo mai fatto paura… è rimasta in fin di vita almeno quindici giorni… oh non si lamentava, ma io vedevo… non aveva più forze… dormiva accanto al mio letto… a un certo punto, un mattino, ha voluto uscire di casa …volevo stenderla sulla paglia… non ha voluto … voleva stare da un’ altra parte … nel posto più freddo della casa, sui sassi… si è allungata dolcemente … ha cominciato a rantolare … era la fine … me l’avevano detto, io non ci credevo … ma era vero, si era distesa in direzione del ricordo, da dove era venuta, dal nord, dalla Danimarca, il muso a nord, rivolto a nord … una cagna estremamente fedele, fedele ai boschi dove fuggiva, Korsor, lassù … fedele anche alla vita atroce … i boschi di Meudon per lei non significavano niente … è morta dopo due, tre rantoli… oh, molto discretamente … senza nessun lamento … con una postura davvero molto bella, slanciata, in fuga; … ma su un fianco, stremata, finita … il naso verso le sue foreste in fuga, lassù da dove veniva, dove aveva sofferto … Dio sa quanto! Oh, ne ho viste di agonie … qui, là … dappertutto … ma mai nessuna così bella, discreta … fedele … quello che danneggia l’agonia degli uomini è il tralalà… l’uomo, malgrado tutto, è sempre su un palcoscenico … il più semplice».

sabato 23 maggio 2009

Goliarda Sapienza, il filo del mezzogiorno

Goliarda Sapienza, Il filo del mezzogiorno, La Tartaruga 2003

Non andare tra le viti nel filo di mezzogiorno: è l'ora che i corpi dei defunti, svuotati dalla carne, con la pelle fina come la cartavelina, appaiono fra la lava. E' per questo che le cicale urlano impazzite dal terrore: i morti escono dalla lava, ti seguono e ti fanno smarrire il sentiero e: o morirai di sete tra gli sterpi disseccati dal sole - sterpo secco pure tu - o penserai sempre a loro smarrendo il senno.


Ogni individuo ha il suo segreto, ogni individuo ha la sua morte in solitudine... morte per ferro, morte per dolcezza, morte per fuoco, morte per acqua, morte per sazietà unica e irripetibile. Ogni individuo ha il suo diritto al suo segreto e alla sua morte.

giovedì 30 aprile 2009

il senso del mondo

Pietro Citati, La malattia dell'infinito, Mondadori 2008

Sfoglialibro Mondadori: capitolo primo (su Conrad)



Walser e il giovane Kafka avevano una sola passione in comune: amavano Charles Dickens. Appresero da lui che l’ilarità, l’euforia, la lieve, trasognata ubriachezza sono la chiave migliore per scoprire il senso di questo e dell’altro mondo, che si insinua nel nostro (sovente in un’osteria suburbana o in un tram sfavillante), senza che noi sappiamo riconoscerlo.

martedì 28 aprile 2009

Oblivion

Qui sotto il link al video degli Oblivion:


OBLIVION, LA STAZIONE DI BOLOGNA

****************


Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.

(...)
Giosuè Carducci, Alla stazione in un mattino d'autunno
s

venerdì 24 aprile 2009

Caproni, le parole

Giorgio Caproni, Il quadrato della verità (1947) in La scatola nera, a cura di Giovanni Raboni, Milano, Garzanti, 1996, pp. 19-20

"la forma più alta e libera del linguaggio (la poesia) è una realtà distinta dalla natura – una vera e propria altra realtà che pur essendo indotta da quella originale (o meglio originaria) è destinata a rimanere parallela ad essa – a non collimare mai, nemmeno un punto del linguaggio (una parola), con un solo punto della natura (una cosa). […] Un fatto che si può perfino sperimentare, e proprio in corpore di quella che è comunemente ritenuta la forma più aderente di letteratura: quella descrittiva, ch’è invece la più impossibile delle forme letterarie possibili".

Le parole.


Le parole. Già..

Dissolvono l’oggetto.

Come la nebbia gli alberi,

il fiume: il traghetto



Giorgio Caproni, Tutte le poesie, Milano, Garzanti1999


giovedì 23 aprile 2009

Fernando Bandini

Fernando Bandini, Dietro i cancelli e altrove, Garzanti 2007

Nessuna parola


Così abbagliante ormai
la distesa di neve che la retina non ce la fa.
Tutto è silenzio dopo la schianto dei rami,
nessuna parola aveva colto nel segno.

Amnesia

Giorno per giorno qualche nome si eclissa
dalla mia lingua e dalla mia memoria,
usuali parole come sedia bottiglia
Oh, trafelate corse per riprenderne
possesso! Annaspo naufrago
in un mondo che sempre più smarrisce
i suoi eoni, balbetto
come Mosè presso il roveto ardente.

E con nervoso tremito pronuncio
casa farfalla mela
per esorcizzare la buia notte
che si avanza a grandi passi;
ma poi casa precipita, farfalla
si polverizza in porpora,
mela mi è tolta divorata dal verme
che abita il mio cervello.

Come mi muoverò, poeta senza
gli amati nomi succo delle cose,
tra i buchi d’un saccheggiato universo?

BANDINI a Pordenone legge


BANDINI su radio tre

mercoledì 22 aprile 2009

Nietzsche, Filologia

Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Rizzoli, 1998


Fa anche parte del mio gusto non scrivere più nulla che non porti alla disperazione ogni genere di gente "frettolosa". Filologia, infatti, è quella onorevole arte che esige dal suo cultore essenzialmente una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, diventare silenzioso, lento, essendo questa un'arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento. Ma proprio per questo fatto è oggi più necessaria che mai. E' proprio per questo mezzo che essa ci attira e ci incanta quanto mai fortemente, nel cuore di un'epoca del "lavoro", intendo dire della fretta, della precipitazione indecorosa e sudaticcia, che vuol dire "sbrigare" immediatamente ogni cosa, anche ogni libro antico e nuovo: per una tale arte non è tanto facile sbrigare una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte.

sabato 18 aprile 2009

Anedda, Residenze invernali

Antonella Anedda, Residenze invernali, Crocetti 2008

Ci sarà un incubo peggiore
socchiuso tra i fogli dei giorni
non sbatterà nessuna porta
e i chiodi
piantati all’inizio della vita
si piegheranno appena.
Ci sarà un assassino disteso sul ballatoio
il viso tra le lenzuola, l’arma posata di lato.
Lentamente si schiuderà la cucina
senza fragore di vetri infranti, nel silenzio del pomeriggio invernale.
Non sarà l’amarezza, né il rancore, solo
per un attimo le stoviglie
si faranno immense di splendore marino.
Allora occorrerà avvicinarsi, forse salire
là dove il futuro si restringe
alla mensola fitta di vasi
all’aria rovesciata del cortile
al volo senza slargo dell’oca,
con la malinconia del pattinatore notturno che a un tratto conosce
il verso del corpo e del ghiaccio
voltarsi appena,
andare.

sabato 4 aprile 2009

Perec, un uomo che dorme

George Perec, Un uomo che dorme, Quodlibet 2009

Si fa notte. Sfreccia raramente qualche automobile. La goccia d'acqua stilla dal rubinetto nel pianerottolo. Il tuo vicino è silenzioso, forse assente, oppure già morto. Sei disteso sulla panca tutto vestito, le mani incrociate dietro la nuca e le ginocchia sollevate. Chiudi gli occhi, li apri. All'interno dell'occhio, o sulla superficie della cornea, forme virali, microbiche, scarrocciano dall'alto in basso, spariscono, e ritornano repentinamente al centro leggermente modificate: sembrano dischi, bolle, pagliuzze, filamenti ritorti il cui assemblaggio disegna i vaghi tratti di un animale mitologico. Ne perdi le tracce, li ritrovi; ti sfreghi gli occhi e i filamenti esplodono, moltiplicandosi.

Lungo il corso delle ore, dei giorni, delle settimane e delle stagioni ti disamori di tutto, ti distacchi da tutto. (...)
Sei invisibile, limpido, trasparente. Non esisti più: il susseguirsi delle ore, il susseguirsi dei giorni, il passare delle stagioni, lo scorrere del tempo, sopravvivi, senza allegria e senza tristezza, senza futuro e senza passato, così, semplicemente, in modo evidente, come una goccia d'acqua che stilla da un acquaio su un pianerottolo, come sei calze in ammollo dentro una bacinella di plastica rosa, come una mosca, come un'ostrica, come una mucca, come una lumaca, come un bambino o come un vecchio, come un topo.

venerdì 3 aprile 2009

La Tempesta

W. Shakespeare, La Tempesta, ... III.2

Be ne afeard; the isle is full of noises, / Sounds, and sweet airs, that give delight, and hurt not. / Sometimes a thousand twangling instruments / Will hum about mine ears; and sometimes voices / That, if I then had wak'd after a long sleep, / Will make me sleep again: and then, in dreaming, / The clouds methought would open, and show riches/ Ready to drop upon me; that, when I wak'd, / I cried to dream again.

Non aver paura. L'isola è piana di canti, di suoni e di dolci melodie che dilettano e non fanno male. Qualche volta mi ronzano nelle orecchie migliaia di strumenti pizzicati, e qualche volta delle voci, che, se anche mi sono allora svegliato da un lungo sonno, mi fanno addormentare di nuovo. Allora nel sogno mi pare che le nubi si aprano e mi mostrino dei tesori pronti a rovesciarsi su di me, in maniera che, quando mi sveglio, piango per voler sognare di nuovo.

O tempo,


Leonardo da Vinci, Scritti letterari, 1952, p.184

O tempo, veloce predatore delle create cose, quanti re, quanti popoli tu hai disfatti, e quante mutazioni di stati e vari casi sono seguiti, po' che la meravigliosa forma di questo pesce qui morì. Per le cavernose e ritorte interiora [...] ora disfatto dal tempo paziente giaci in questo chiuso loco. Colle ispogliate, spolpate e ignude ossa hai fatto armadura e sostegno al sopraposto monte."

Tiziano Scarpa, Tempo

Tiziano Scarpa, Tempo, in Il primo amore

Mi chino ad allacciarmi una scarpa, arriva una bambina piuttosto piccola: "Che cosa stai facendo?" Glielo spiego. "E tu?", le domando. "Io…", la bambina si volta e corre via, proseguendo la frase con il movimento. Ripenso a Eraclito, quando diceva che aiòn pàis esti paìzon. Gli studiosi traducono che il tempo è "un bambino che gioca", o addirittura "fanciullo nel trastullo". Pochi notano che pàis paìzon è quasi un bisticcio di parole, è un nome seguito dalla sua verbificazione, è il passaggio all'atto del nome che trabocca in verbo: "un bambino bambinante, un bambino che bambina". Il tempo è un essere che si esegue: la sua azione consiste nell'essere fattivamente sé stesso. Il tempo è un bambino che fa il bambino. La bambina che ho incontrato io è un essere che inserisce nel linguaggio sé stessa e la propria azione, non separa essere, fare e dire. Nel frattempo io, da consumato vivisezionatore, ho allacciato la mia scarpa, mi sono visto farlo, e l'ho detto.

23.11.07 -
www.ilprimoamore.it

venerdì 27 marzo 2009

Szymborska

Le tre parole più strane


Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba gia’ va nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.

Contributo alla statistica

Su cento persone:

che ne sanno sempre piu’ degli altri
- cinquantadue;

insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;

pronti ad aiutare,
purche’ la cosa non duri molto
- ben quarantanove;

buoni sempre,
perche’ non sanno fare altrimenti
- quattro, be’, forse cinque;

propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;

viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;

dotati per la felicita’
- al massimo poco piu’ di venti;

innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro piu’ della meta’;

crudeli,
se costretti dalle circostanze
- e’ meglio non saperlo
neppure approssimativamente;

quelli col senno di poi
- non molti di piu’
di quelli col senno di prima;

che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;

ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatre’
prima o poi;

degni di compassione
- novantanove;

mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.

martedì 24 marzo 2009

Macchine


Le macchine di Munari, Einaudi 1942, Corraini 2008








"Occorre evitare che l'essere umano diventi una macchina utile, incapace di essere diversa da ciò per cui è stata rigidamente programmata dalla vita e dall'educazione, incapace di creatività. Se mi passate il linguaggio automobilistico, il bambino tende a cadere nello sforzo di crescere, l'adolescente tende a ribaltarsi nella fretta di crescere, l'adulto tende ad andare fuori giri perché non percepisce i limiti della sua crescita, l'anziano tende a fermarsi perché non ha fiducia nei suoi margini di crescita. Se ognuno di noi, qualunque sia la nostra età, si concedesse uno spazio di gioco, di movimento, libero da finalità immediate, credo che ne guadagnerebbero la sua salute, le sue relazioni e la sua creatività. Se questo può tranquillizzarci, si è più utili a noi stessi e agli altri se ogni tanto ci concediamo il piacere di essere anche macchine inutili"
[Fulvio Scaparro, 8 giugno 2000 Corriere della Sera]

Vedi il sito dedicato al lavoro e al pensiero (la "fantasia esatta") di Bruno Munari:

http://www.munart.org

venerdì 6 febbraio 2009

O chiarissimo ciuco,

Giuseppe Giusti, Contro un letterato pettegolo e copista, in Versi inediti ed editi, Firenze, Le Monnier, 1852

O chiarissimo ciuco
O cranio parasito
All’erudita greppia
incarognito;
Tu del corvello eunuco
All’anime bennate
Palesi la virtù
colle pedate.
Somigli uno scaffale
Di libri a un tempo idropico e
digiuno,
Grave di tutti, inteso di nessuno;
O meglio un arsenale
Ove il
sapere, in preda alle tignole,
Non serba altro di sé che le parole.
Poiché
sfacciatamente
Copri de’ panni altrui l’anima nuda,
Scimia di forti
ingegni e Zoilo e Giuda;
Smetti, o zucca impotente,
Di prenderti altra
briga;
Strascica l’ostro sulla falsariga.

giovedì 5 febbraio 2009

Pinocchio bis

Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino
cap XXXV



(...)
- Oh! babbino mio! finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!
- Dunque gli occhi mi dicono il vero? - replicò il vecchietto stropicciandosi gli occhi, - Dunque tu se' proprio il mi' caro Pinocchio?
- Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete digià perdonato, non è vero? Oh! babbino mio, come siete buono!... e pensare che io, invece... Oh! ma se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose mi son andate per traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la vostra casacca mi compraste l'Abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinaio mi voleva mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che mi dette cinque monete d'oro, perché le portassi a voi, ma io trovai la Volpe e il Gatto, che mi condussero all'osteria del Gambero Rosso dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro, e io via, e loro dietro, e io via e loro sempre dietro, e io via, finché m'impiccarono a un ramo della Quercia grande, dovecché la bella Bambina dai capelli turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici, quando m'ebbero visitato, dissero subito: "Se non è morto, è segno che è sempre vivo", e allora mi scappò detto una bugia, e il naso cominciò a crescermi e non mi passava più dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d'oro, che una l'avevo spesa all'osteria, e il pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai più nulla, la quale il giudice quando seppe che ero stato derubato, mi fece subito mettere in prigione, per dare una soddisfazione ai ladri, di dove, col venir via, vidi un bel grappolo d'uva in un campo, che rimasi preso alla tagliola e il contadino di santa ragione mi messe il collare da cane perché facessi la guardia al pollaio, che riconobbe la mia innocenza e mi lasciò andare, e il Serpente, colla coda che gli fumava, cominciò a ridere e gli si strappò una vena sul petto e così ritornai alla Casa della bella Bambina, che era morta, e il Colombo vedendo che piangevo mi disse: "Ho visto il tu' babbo che si fabbricava una barchettina per venirti a cercare", e io gli dissi: "Oh! se avessi l'ali anch'io", e lui mi disse: "Vuoi venire dal tuo babbo?", e io gli dissi: "Magari! ma chi mi ci porta", e lui mi disse: "Ti ci porto io", e io gli dissi: "Come?", e lui mi disse: "Montami sulla groppa", e così abbiamo volato tutta la notte, e poi la mattina tutti i pescatori che guardavano verso il mare mi dissero: "C'è un pover'uomo in una barchetta che sta per affogare", e io da lontano vi riconobbi subito, perché me lo diceva il core, e vi feci cenno di tornare alla spiaggia...
- Ti riconobbi anch'io, - disse Geppetto, - e sarei volentieri tornato alla spiaggia: ma come fare? Il mare era grosso e un cavallone m'arrovesciò la barchetta. Allora un orribile Pesce-cane che era lì vicino, appena m'ebbe visto nell'acqua corse subito verso di me, e tirata fuori la lingua, mi prese pari pari, e m'inghiottì come un tortellino di Bologna.

Vedi: il saggio di Martino Marazzi

Vedi l'incipit della prefazione al volume Millenni Einaudi di Tiziano Scarpa

Vedi e ascolta il brano da Pinocchio di Carmelo Bene

venerdì 16 gennaio 2009

Luigi Ghirri


























"La fotografia non è pura duplicazione o un cronometro dell'occhio che ferma il mondo fisico, ma è un linguaggio nel quale la differenza fra riproduzione e interpretazione, per quanto sottile, esiste e dà luogo a un'infinità di mondi immaginari". [Luigi Ghirri]


PAESAGGI D'AUTORE: Letteratura fra la via Emilia e il west

domenica 11 gennaio 2009

Tonino Guerra, L'aria

L’aria l’e cla roba lizira

che sta dalonda la tu testa

e la dventa piò céra quand che t’roid


l’aria è quella cosa leggera,

che sta intorno alla tua testa

e diventa più chiara quando ridi.



http://www.toninoguerra.org/


sabato 3 gennaio 2009

Pontremoli, Silenzio

Giuseppe Pontremoli, Silenzio, in Ballata per tutto l'anno e altri canti, Nuove edizioni Romane, 2005


Il silenzio che amo
è quello che si staglia
fra una parola e l'altra
fra torrente e boscaglia
quello di due persone
che si stringono le mani
quello che fan gli uccelli
ogni sera sui rami
quello che fa la notte
quando ti sembra immensa
quello d'una tua voglia
impetuosa e intensa
quello che dalla linea
mossa dell'orizzonte
avvicina e allontana
la pianura ed il monte.
Il silenzio che amo
è quello che si staglia
fra una parola e l'altra
fra torrente e boscaglia.
Il silenzio che amo
è quello che dipana
una parola e l'altra
e il silenzio allontana.

Un lungo, bellissimo testo di Pontremoli sul sonno

Il sito a lui dedicato:

www.giuseppepontremoli.it

venerdì 2 gennaio 2009

Ripellino, il valore della poesia

Angelo Maria Ripellino, Splendido violino verde, Torino, Einaudi, 1976

Nonostante l'epoca sia così nera, così difficile, piena di falsi teologi, di ladroni, di monatti, la poesia non ha perduto il suo valore, la sua efficacia, l'unica cosa che rimane ancora che possa trasformare il mondo, almeno allusivamente – un ultimo miracolo che ci resta – è forse la poesia; anche per questo suo dono di avere gli occhi divaricati, di poter abbracciare diverse cose insieme… Questo suo dono dell'analogia, della metafora, larga, che abbraccia l'universo. Ora in un universo che tende a restringersi nella miseria e nel nulla, la poesia è appunto questa unica meraviglia, che cerca di abbracciarlo e di rendere viva l'unità del mondo